12/01/2018 | |
VITA MAGAZINE |
Il ruolo delle nuove generazioni è andare oltre il presente, il compito della società è incoraggiarle a farlo con strumenti adeguati. Ma in Italia il futuro, più che un bene su cui investire, è diventato la discarica dei costi per il mantenimento delle rendite e privilegi del passato»: è amaro Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano e da anni coordinatore del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo.
Di chi parliamo quando parliamo di giovani? Abbiamo avuto i choosy, i bamboccioni, gli sdraiati, ma i dati dicono che i giovani sono la generazione che ha pagato più di tutti il prezzo della crisi. Qualche esperto ha definito i 25/30enni come una “generazione persa”. Davvero è così?
Nei primi decenni del secondo dopoguerra, all’epoca del boom economico e del baby boom, l’Italia cresceva assieme alle nuove generazioni. Oggi quell’Italia non c’è più da molti punti di vista, a partire da quello demografico. Ma non è vero che i Millennials siano una “generazione perduta”. Lo stesso Papa Francesco, nel luglio scorso, in occasione della Giornata mondiale della Gioventù, ha chiesto ai giovani di non perdere la speranza, di non farsi rubare il futuro, che è nelle loro mani. Quello della “generazione perduta” non è un destino ineluttabile, però è un rischio. I giovani sono i primi a volerlo evitare: hanno voglia di scommettere su se stessi e di esercitare un protagonismo positivo. È vero anche che fanno presto a demotivarsi se non vengono incoraggiati all’intraprendenza.
Questo rischio per chi vale in particolare?
I Neet sono la categoria più a rischio di scivolare in una spirale negativa corrosiva, in uno stato di deprivazione non solo economica ed occupazionale, ma che si allarga orizzontalmente anche ad altre sfere della vita e scende verticalmente in profondità, intaccando la capacità di reagire…