08/08/2017 | |
IL GIORNALE.IT |
«L’ invasione degli imbecilli» preconizzata da Umberto Eco, si è antropologicamente «evoluta», tanto che ora siamo assediati da milioni di Napalm51, l’irresistibile (e angosciante) personaggio inventato da Maurizio Crozza che «clicca clicca» e «banna banna», distillando h24 gocce d’odio contro tutto e tutti.
Ma il vero dramma è che la tipologia dell’untore-social è tragicamente reale e la sua «filosofia» sul web fa sempre più proseliti. Le frustrazioni, per nulla virtuali, del popolo Napalm tracimano online trasformandosi in offese, insulti, invettive, calunnie: tutte rigorosamente «gratuite», sia nel senso che sono «false» sia nell’accezione che «non costano nulla» (finanziariamente e giuridicamente). Insomma, oggi, «a costo zero», in rete si può diffamare chiunque senza rischiare quasi nulla. Anche per questa ragione molti personaggi pubblici (ma pure persone comuni) hanno deciso di uscire definitivamente da Facebook o di mettere momentaneamente «in sonno» i propri profili. Solo nell’ultima settimana lo ha fatto il cantante Al Bano («Sono esasperato dalla campagna d’odio contro di me e la mia famiglia»). Prima di lui medesima decisione anche per Claudia Gerini, Alessandro Gassman, Linus, Lapo Elkann e molti altri interpreti dello showbiz internazionale: dal cantante Ed Sheeran, alla pop star Selena Gomez, passando per l’attore Josh McDermitt, solo per fermarci alla categoria «spettacolo». Ma la cosa diventa ancora più inquietante quando a colpi di mouse si vomita fango perfino su un simbolo della lotta contro la violenza sulle donne come Gessica Notaro, la ragazza sfregiata con l’acido dal suo ex. Di cosa è stata «accusata» dagli untori del web? Di volere la riapertura del delfinario di Riccione dove lei lavora come istruttrice. Apriti cielo. Ecco subito gli «haters» che, sotto le mentite spoglie degli animalisti, «augurano» a Gessica di «essere ancora sfregiata, perché lei i delfini non li ama ma li tortura».
E che dire dei Napalm51 che dopo l’alluvione che ha causato un morto a Cortina esultano perché «finalmente le calamità naturali colpiscono anche le località dei ricchi»? Sono gli ebeti del web che Enrico Mentana ha battezzato (con un felice neologismo) «webeti», diffidandoli nel continuare a seguirlo come «amici» sulla sua pagina Facebook. Mentana, di questi «indesiderati», ha tracciato anche le caratteristiche: sono quelli che «negano l’olocausto», che «sostengono che non siamo mai andati sulla luna»; gente non molto dissimile da quanti gioiscono per la morte di qualcuno o dopo una strage. Non c’è infatti attentato, sciagura o incidente dopo i quali il Napalm51 di turno non si fiondi a cliccare il suo infame «mi piace».
Anche il mondo dell’informazione ha le sue responsabilità, inseguendo (lo stiamo facendo anche noi con questo articolo, ndr) gli ignobili post di chi su internet si sente «realizzato» solo lanciando frasi di melma.
Ma il futuro non promette nulla di buono. Un recente studio condotto dall’Università Cattolica dimostra infatti come un giovane su tre «non consideri grave l’uso sul web di termini che offendono, aggrediscono, esprimono odio o intolleranza».
Osserva il professor Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale alla Cattolica di Milano: «Dobbiamo riflettere sul fatto che un gruppo, per quanto minoritario, di giovani utenti dei social non abbia consapevolezza delle insidie che il web nasconde, non sappia formulare un giudizio critico e viva in modo deresponsabilizzato la sua presenza in rete». Le parole d’odio («hate speech») sono considerato «grave» solo dal 44% degli intervistati e «abbastanza grave» dal 45%. Decisamente poco per sperare in un’inversione di tendenza. I Naplam51 continueranno a sputare parole di fuoco.