13/04/2025 | |
IO DONNA - 13 Aprile 2025 |

Adolescenti per sempre, adulti mai: sono gli adulescenti
Nella miniserie del momento, Adolescence, si affronta il lato oscuro (e social) dei tredicenni di oggi. Fa molto discutere. Anche perché i genitori, che manifestano spesso una grande immaturità, sono i primi sotto accusa, come ci spiegano alcuni esperti. E una nuova collana di libri, in uscita anche con iO Donna, ci aiuta a capire
di Stefania Berbenni
La definizione “adulescenti” ha dodici anni, ma l’invasione del neologismo in ricerche, analisi, studi, conversazioni, e soprattutto nella nostra realtà quotidiana, data una ventina di stagioni. La coniò nel 2013 un sociologo, Serge Guérin, facendo una crasi fra due termini francesi che, tradotti, significano “cinquantenni” e “adolescenza”. Guérin pensò di fotografare così in una sola parola i molti adulti del Terzo millennio, ludici, epicurei, allergici alle responsabilità, spesso vestiti come i loro figli e in piena negazione dell’anagrafe.
Da allora, adulescenti è esondato inglobando anche ultratrentenni e quarantenni. A questa epidemia di regressione comportamentale adolescenziale si è accompagnato un certo stigma sociale, soprattutto da parte femminile, di ragazze e donne stanche di incontrare “bamboccioni” che pensano a paddle, calcetto, palestra, apericene, vacanze e fantacalcio.
Un fenomeno non solo italiano, sia nel suo diffondersi sia nel giudicare con severità l’esercito degli adulescenti. «Quello che non va bene è leggere le condizioni di oggi con le categorie del passato. Il mondo è cambiato come mai. Non c’è periodo della storia nel quale in pochi anni si siano avute trasformazioni così rapide e profonde». Alessandro Rosina sa di cosa sta parlando, è demografo, docente all’Università Cattolica di Milano e coordinatore dell’Osservatorio Toniolo.
La sua è un’analisi spietata per lucidità: «Negli anni Cinquanta, Sessanta e buona parte dei Settanta, le tappe della vita adulta erano chiare: fine dello studio, ricerca del lavoro, uscita dalla casa dei genitori, matrimonio, figli. Soprattutto erano tappe considerate irreversibili: non si sarebbe cambiato lavoro, si sarebbe tenuta in piedi la famiglia. Oggi tutte queste tappe sono posticipate e scompigliate. E sono diventate reversibili. Vige la precarietà, anche per colpa dei bassi salari, dei lavori flessibili, con spostamenti, cambi. E la complessità della realtà ha bisogno di forme non rigide, adattive. Inoltre, c’è il tema longevità, che sta mettendo in discussione i blocchi della vita».
Invecchiamo meglio e soprattutto di più, con i tormentoni del caso tipo “i cinquanta sono i nuovi trenta/quaranta”, esagerazione forse di sociologi e titolisti. Secondo una ricerca dell’agenzia di comunicazione Hearts & Science però, otto milioni di italiani puntano a “restare giovani per sempre”, curando alimentazione, facendo sport, coltivando hobby e vestendosi in modo informale.
Lidia Ravera sul tema ha scritto due libri, uno dietro l’altro, Age pride. Per liberarci dei pregiudizi dell’età e Volevo essere un uomo, uscito da poco (entrambi Einaudi). Racconta uno squarcio di vita vissuta: «L’estate scorsa a Stromboli un gruppo di amici di mio figlio quarantenne mi ha invitata a casa di uno di loro. A un certo punto ho chiuso gli occhi per capire bene… Scherzavano, si prendevano in giro, finte aggressività, risate… Non c’era un discorso di sostanza, ma non c’era neppure alcuna formalità. Sembravano liceali. I codici di un tempo non c’erano, saltati».
Sbagliato buttare la croce addosso agli adulescenti, troppo facile sdegnarsi di fronte a comportamenti da ragazzini. Ravera continua: «Hanno bisogno di un piano B per affrontare le loro vite, più difficili delle nostre: basti pensare alla rivoluzione tecnologica, la precarietà, ora le guerre.Per questo hanno voglia di ridere e scherzare. E poi c’è il tema della vita allungata, che per le donne è un problema, sempre a inseguire lo sguardo di approvazione degli uomini. Per noi invecchiare è drammatico, per loro è un dato di fatto. Spesso, noi ci rifiutiamo di accettare il trascorrere del tempo, perché i nostri coetanei maschi rifiutano noi».
Secondo l’ultimo report dell’Eurispes, il 74,5 per cento delle donne ritiene di dover curare il proprio aspetto, il 55,7 per cento non esce di casa se non ha prima messo mano al proprio look; e una donna su quattro destina oltre 100 euro al mese alla bellezza, prova ne è che il comparto del beauty è uno dei pochi in piena espansione: più 6,5 per cento. Essere o sembrare più giovane di quanto certifichi l’anagrafe è una conquista o una condanna? E soprattutto, essere adulescenti può avere dei costi per chi sta intorno, a cominciare dai figli.
È quanto sostiene Stefano Vicari, psicoterapeuta dell’età evolutiva che, per far riflettere genitori e insegnanti, ha appena scritto Adolescenti interrotti. Intercettare il disagio prima che sia tardi (Feltrinelli). Lavora anche al Pronto soccorso dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, una postazione privilegiata per comprendere cosa sta succedendo. Racconta: «Al primo posto per motivo di accesso c’è la febbre. Poi la disidratazione e, al terzo, motivi psichiatrici. Un dato impensabile dieci anni fa. Nel 2012-13 noi facevamo 230 consulenze l’anno; con la pandemia e i suoi effetti, nel 2022 siamo arrivati a 1800 richieste di intervento. Ora siamo intorno alle 1500: i casi calano ma aumentano quelli di autolesionismo. I ragazzi stanno male».
“Perché?”, si domanda Stefano Vicari, rispondendosi senza sconti: «I disturbi mentali sono complessi, a determinarli intervengono vari fattori, genetici, di stile di vita, ambientali: il contesto in cui cresci, la scuola, la famiglia. E se hai genitori che hanno comportamenti da adolescenti, che hanno difficoltà ad accogliere gli anni che passano, che sono pieni di tatuaggi, portano il piercing e si vestono da liceali, può essere un problema. Abbiamo oggi genitori che sono molto controllanti su orari e uscite ma poi lasciano i ragazzi attaccati per ore ai device. La responsabilità del ruolo vuol dire anche responsabilità della propria età. Pericoloso fare gli amici invece che impersonare il ruolo di mamma o papà, arrivando magari anche a ostentare le proprie trasgressioni: se noi adulti le facciamo, cosa rimane ai ragazzi? Il mandato principale degli adolescenti è trasgredire».
Su Netflix la serie fenomeno Adolescence è un thriller psicologico che scoperchia il magma esistenziale di un tredicenne, accusato di aver ucciso una compagna. Una cruda fotografia sull’adolescenza di oggi, simile a quella vissuta in passato in quanto a eccessi, silenzi, sogni, voglie, persino violenza, eppure molto diversa perché scandita da social, media e fredda solitudine.
I trenta-cinquantenni di oggi hanno però una carta da giocare. È Alessandro Rosina a dirlo: «Sono più liberi di generare valore in questi confini labili, sfranti. Bisogna stare attenti a non rifugiarsi in forme di egoismo e non pensare che appena si esce dal lavoro, si va a godersi la vita. L’unica scelta rimasta irreversibile è avere figli. Li si fa più tardi, ma in piena coscienza».