– 550MILA GIOVANI VIA DALL’ITALIA. “Perché le imprese li considerano manodopera a basso costo?”

C’è il calo demografico, ma anche la fuga dei giovani all’estero. E sono tanti. Secondo una ricerca della Fondazione Nord Ovest, presentata in questi giorni al CNEL, sono stati 550mila (fra i 18 e i 34 anni) nel periodo compreso tra il 2011 e il 2023, 337mila dei quali non sono tornati. Il rapporto sostiene che il 35% dei giovani del Nord è disponibile a valutare opportunità fuori dai confini e che quelli che all’estero ci sono stati ci vogliono restare: il 56% si dice soddisfatto, mentre in Italia i giovani soddisfatti sono solo il 22%.

“Il nostro sistema – dice Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia all’Università Cattolica di Milano – deve cambiare prospettiva, deve investire sulle nuove generazioni. Il punto di partenza è questo: i giovani, adesso, devono trovare migliori opportunità”.

Professore, 550mila persone che vanno all’estero sono tante. Come si spiega questo esodo?

Fa parte del fenomeno del “degiovanimento”: abbiamo una penuria di giovani, accentuata rispetto ad altri Paesi, che deriva dalla bassa natalità, la più bassa d’Europa, ma anche dal fatto che se ne vanno di più all’estero. Regaliamo giovani a Francia, Svezia, Germania e Gran Bretagna e ne attraiamo di meno da loro. Una perdita doppia: se se ne vanno, non rimangono a far figli in Italia; perdiamo forza lavoro anche per il futuro.

Solo il 10% dei giovani va all’estero per migliorare il salario, la maggior parte vuole migliorare le proprie condizioni di lavoro. In Italia non sono abbastanza valorizzati?

C’è una combinazione di fattori. Quello che succede da noi oggi è che, anche se i giovani vengono assunti in aziende che li pagano bene, se non ci sono le condizioni per poter contare, per fare la differenza e anche per conciliare vita privata e lavoro, lasciano il posto, al di là del contratto e della remunerazione. I giovani vorrebbero essere parte attiva di un progetto Paese in cui possano sentirsi riconosciuti e valorizzati, essere in un contesto che li mette nelle condizioni di dare il meglio di sé.

In questa situazione c’è una responsabilità del mondo imprenditoriale?

Sì, qui più che in altri Paesi i giovani vengono considerati manodopera da pagare il meno possibile e di cui disfarsi il più facilmente possibile. Le politiche italiane hanno trasformato la flessibilità in precarietà: le aziende hanno preferito utilizzare i giovani come manodopera da pagare al ribasso. Rispetto agli altri paesi europei, poi, abbiamo anche una quota di laureati più bassa. Se le aziende non trovano il modo di valorizzarli pienamente, ci sarà da sostenere sempre di più una competizione con altri Paesi che, anche loro alle prese con l’invecchiamento della popolazione, cercheranno di attrarre i nostri talenti: se ne andranno sempre più ingegneri e infermieri.

LEGGI TESTO COMPLETO