Perché il rilancio del Paese passa dalla famiglia

Oggi, ancor più che in passato, le politiche familiari non possono essere pensate in modo indipendente dalle politiche del lavoro: vanno assieme considerate le due facce delle politiche di sviluppo di un paese o di una regione.

Un territorio che vuole crescere deve mettere in relazione positiva economia e demografia. Questo significa, prima di tutto, favorire la combinazione tra scelte professionali e scelte familiari in grado di realizzare le aspirazioni personali e di produrre ricadute virtuose per la produzione di benessere collettivo, inteso nella sua accezione più ampia. Oggi, ancor più che in passato, le politiche familiari non possono essere pensate in modo indipendente dalle politiche del lavoro: vanno assieme considerate le due facce delle politiche di sviluppo di un paese o di una regione. Proprio per questo la lettura congiunta dei cambiamenti che riguardano le famiglie e il mercato del lavoro, offerta dall’ultimo report dell’Istat, aiuta a capire in che direzione stiamo andando, con quali limiti e contraddizioni si scontra il nostro processo di crescita.

Sullo sfondo ci sono i grandi cambiamenti demografici ed economici, che interagiscono con le specificità culturali e strutturali del territorio. C’è poi il peso della crisi economica che ancora continua a farsi sentire, soprattutto in alcune aree. Sul versante demografico, le due trasformazioni principali sono l’invecchiamento della popolazione e l’instabilità coniugale. Due fenomeni che negli ultimi decenni del secolo scorso hanno caratterizzato soprattutto le regioni centro-settentrionali, ma con forte convergenza in atto da parte delle regioni del Sud. Questi mutamenti stanno profondamente cambiando caratteristiche e morfologia delle famiglie, mettendo in discussione equilibri tradizionali, di genere e generazionali. Dove l’economia e il sistema di welfare sono meno solidi le famiglie si trovano più esposte alle conseguenze negative di tali mutamenti. L’invecchiamento è accentuato dalla denatalità, le cui cause principali sono l’incertezza verso il futuro, la difficoltà dei giovani ad inserirsi nel mondo di lavoro, la scarsa conciliazione tra famiglia e lavoro che pesa soprattutto sulle donne. La natalità è in maggiore sofferenza nel meridione proprio perché tali tre cause incidono qui maggiormente. La conseguenza è una più lunga dipendenza dei giovani-adulti dai genitori, una più bassa occupazione femminile, un maggior rischio di povertà delle coppie con figli, che diventa ancora più alto per le famiglie monogenitore.
Se si dovesse proporre un indicatore chiave per capire quanto un territorio è oggi in difficoltà – come sintesi dei principali limiti e contraddizioni che frenano crescita economia e benessere sociale – si potrebbe scegliere la percentuale di famiglie con figli in cui entrambi i membri della coppia lavorano. Non ci dice certo tutto, ma quando il valore di questo indicatore è elevato evidenzia che: quel territorio offre buone opportunità di occupazione per chi forma una famiglia, che queste opportunità valgono per entrambi i generi, che le famiglie sono meno esposte al rischio di incertezza del mercato del lavoro, che i minori sono meno esposti al rischio di povertà. Questo non significa mettere in campo politiche che disincentivino le donne a dedicarsi completamente alla famiglia o a farlo per un periodo, ma favorire condizioni perché possano scegliere. Dove tale scelta è maggiormente sostenuta, c’è chi liberamente deciderà di dedicarsi solo alla carriera, chi solo alla famiglia e chi di realizzarsi in entrambe le dimensioni. Questo, nel complesso, porta a far crescere sia l’occupazione femminile che la natalità. Dove la percentuale di coppie con figli in cui lavorano entrambi è più alta, maggiore tende ad essere la crescita economica, maggiori i livelli di benessere sociale, minori le disuguaglianze di genere e generazionali. L’Italia è, purtroppo, uno dei paesi in Europa con più bassi livelli di tale indicatore. Il dato recente pubblicato dall’Istat (coppie con figli in cui lavora sia il padre che la madre, tra i 25 e i 64 anni) colloca il Nord al 55,4%, il Centro al 50,6% e il Mezzogiorno ad appena il 26,4%. In carenza di una politica che stimoli e sostenga una crescita delle opportunità di vero lavoro e sviluppo, l’unica difesa che rimane alle famiglie è quella di ridurre il numero dei figli, andando ad alimentare una spirale negativa tra economia e demografia che vincola verso il basso il benessere personale e collettivo. La politica che promette assistenza non è un grado di spezzare tale spirale, può farlo solo quella capace di stimolare la vitalità del territorio attraverso il sostegno dal basso a scelte di impegno positivo verso il futuro.

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