Per invertire la flessione delle nascite dobbiamo replicare il modello trentino

Non c’è nessun segreto e nessuna magica alchimia alla base. Maggiore che nel resto del paese è la possibilità di ricorrere ai servizi per l’infanzia, tramite i nidi comunali e i nidi familiari (Tagesmutter). Più sviluppate sono le pratiche di welfare aziendale favorite da una consolidata cultura della conciliazione. Più generosi gli aiuti economici alle famiglie con figli.

In questa legislatura si gioca l’ultima possibilità che ha l’Italia di invertire la tendenza negativa delle nascite. In caso contrario le nascite continueranno a ridursi anno dopo anno rendendo nel breve e medio periodo inefficace qualsiasi azione di contenimento del crollo della popolazione in età lavorativa. Anche i flussi migratori, infatti, pur rilevanti, risulterebbero del tutto insufficienti a compensare l’indebolimento della forza lavoro potenziale.

Un aumento della natalità è auspicabile sia per le ricadute dirette che per quelle indirette. Sappiamo per certo che la popolazione continuerà a diminuire e la componente anziana ad aumentare. L’unico margine su cui possiamo ancora agire è quello di non far diminuire troppo la componente che ha il compito di generare benessere economico e sociale. Nello scenario meno sfavorevole delle ultime proiezioni Istat la perdita di popolazione tra i 20 e i 64 anni, all’orizzonte del 2050, è di circa 6 milioni, mentre in quello più sfavorevole può superare i 10 milioni. Questo significa che c’è un margine di circa 4 milioni di persone in età lavorativa che dipende dalla dinamica delle nascite (che nel caso peggiore scenderebbero a 300 mila e in quello migliore salirebbero a 450 mila nei prossimi cinque anni per poi arrivare a superare le 500 mila) in combinazione con il contributo dell’immigrazione. Sul resto del divario agiscono le ricadute indirette del rafforzamento dell’occupazione giovanile e femminile, che sono strettamente legate alle politiche familiari e ai meccanismi del rinnovo generazionale.

La natalità, infatti, non può aumentare se non migliora tutta la transizione scuola-lavoro e se non aumentano le opportunità di valorizzazione del capitale umano dei giovani nel mondo del lavoro. D’altro canto, i giovani che conquistano nei tempi e modi adeguati l’autonomia e formano una propria famiglia tendono ad essere più impegnati e responsabilizzati verso un ruolo sociale attivo. Politiche a supporto di tali scelte hanno quindi ricadute sia sulla vitalità demografica che sul dinamismo sociale ed economico.

Allo stesso modo la natalità non può aumentare in modo solido se rimane bassa l’occupazione femminile e viceversa. Le politiche che armonizzano tempi di lavoro e responsabilità familiari consentono a chi ha figli di poter avere un impiego e a chi ha un impiego di non rinunciare ad avere figli. Detto in altri termini, aumento della nascite, dell’occupazione giovanile e della partecipazione femminile, assieme ad una immigrazione con possibilità di adeguata integrazione, convergono in modo coerente verso lo scenario più alto, rafforzando le condizioni di sviluppo inclusivo e sostenibile. Viceversa, la depressione ulteriore delle nascite si associa anche a persistenti difficoltà dei giovani a formare una propria famiglia, a bassa conciliazione delle coppie tra famiglia e lavoro, a rischio di povertà della famiglie con figli.

L’andamento delle nascite va considerato, quindi, l’indicatore più informativo sulle prospettive di sviluppo e benessere dell’Italia nei prossimi anni, condizionando anche gli scenari di medio e lungo termine.

Cruciali saranno, in particolare, i prossimi cinque anni. Per due motivi. Il primo è l’opportunità di spinta nella giusta direzione che proviene dalle risorse di Next Generation Eu. Entro il 2026 sapremo come i progetti finanziati saranno realizzati e l’efficacia che avranno. Il secondo è legato all’evoluzione della struttura demografica. Più il tempo passa e più difficile diventa invertire la tendenza delle nascite perché va ad erodersi irreversibilmente la popolazione in età riproduttiva. Le proiezioni che l’Istat pubblicherà nel 2027 – se in questi cinque anni le nascite continuassero ad essere in sofferenza – andranno a decretare in modo definitivo l’impossibilità per i decenni successivi di una ripresa della vitalità demografica. Lo scenario migliore diventerebbe quello mediano attuale, ovvero un aumento del numero medio di figli per donna non in grado di compensare il trascinamento verso il basso delle nascite dovuto alla riduzione delle potenziali madri. Le previsioni stesse non sono statiche, se si va verso lo scenario più alto vengono ulteriormente viste al rialzo, e si va verso quello più basso vengono riviste ancor più al ribasso. Ma la differenza tra condanna alla riduzione continua delle nascite e tenere, invece, aperta la possibilità di inversione della tendenza si gioca in questi anni, quindi in questa legislatura.

Il caso del Trentino mostra in modo concreto che questa possibilità esiste. E’ vero che tale area ha potuto contare su risorse maggiori, ma altre regioni autonome non hanno avuto gli stessi risultati. Inoltre il fondo Next Generation Eu consente a tutto il paese di mettere da parte l’alibi delle risorse e concentrarsi sulle misure da realizzare e implementare su tutta la penisola in modo efficace.

Le attuali previsioni Istat prefigurano per la Provincia di Trento un andamento delle nascite che da poco più di 4 mila andrebbe ad avvicinarsi a 5 mila nello scenario centrale e a superare le 6 mila in quello più favorevole. Di fatto lo scenario migliore nazionale equivale a quello centrale della Provincia di Trento, che quindi può tenersi aperto uno scenario ancora migliore, con un percorso di risalita che può arrivare al riequilibrio nella seconda metà del secolo.

Non c’è nessun segreto e nessuna magica alchimia alla base. Maggiore che nel resto del paese è la possibilità di ricorrere ai servizi per l’infanzia, tramite i nidi comunali e i nidi familiari (Tagesmutter). Più sviluppate sono le pratiche di welfare aziendale favorite da una consolidata cultura della conciliazione. Più generosi gli aiuti economici alle famiglie con figli.

I minori costi e la minore complicazione organizzativa che porta l’arrivo di un figlio incentiva, chi ha un orientamento familiare positivo, ad andar oltre e averne uno in più anziché uno in meno. Un segnale dell’efficacia delle politiche familiari è la percentuale di chi va oltre il secondo figlio. Negli ultimi dieci anni è aumentata nella provincia la propensione a passare dal primo al secondo e più recentemente dal secondo al terzo, portando chi ne ha tre o più a quasi il 15% sul totale delle coppe con figli, contro una media nazionale attorno al 10%. Non è un caso che tutto ciò si combini con un tasso di Neet (giovani che non studiano e non lavorano) sensibilmente più basso rispetto alla media nazionale e con un tasso di occupazione femminile vicino ai livelli medi europei. Ma le politiche familiari funzionano se alimentano un processo di continuo miglioramento. L’ultima misura innovativa introdotta è la “dote finanziaria” che prevede per gli under 40 la possibilità di ottenere un prestito bancario per l’avvio di un nucleo familiare e un contributo per la sua estinzione parziale o totale alla nascita (o adozione) di un figlio. Va quindi a favorire sia l’autonomia delle nuove generazioni sia l’assunzione di responsabilità genitoriali.

Il caso del Trentino mostra, quindi, che si può fare. Soprattutto se si adotta l’approccio giusto.

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