Le elezioni politiche dovrebbero costituire un’occasione preziosa di riflessione e confronto sul progetto di Paese che vogliamo realizzare, non esaurirsi in un elenco di promesse finalizzate a massimizzare il consenso immediato. Il dibattito aperto dall’articolo di Calenda e Bentivogli su questo giornale ha il pregio di alzare lo sguardo comune oltre l’interesse di chi vincerà le elezioni del 4 marzo, per definire una strategia in grado di rendere vincente la risposta del nostro Paese alle grandi sfide di questo secolo. Perché tale strategia sia vincente è necessario prima di tutto che sia avvincente (coinvolgente e appassionante) nei confronti delle nuove generazioni. Non c’è alcuna possibilità di costruire un futuro migliore senza mettere in relazione virtuosa le opportunità del mondo che cambia, le specificità (culturali e strutturali) del territorio, le potenzialità e le sensibilità delle nuove generazioni. Ignorare anche uno solo di questi tre elementi porta ad un fallimento certo nel medio-lungo periodo.
Va allora riconosciuto che in questo momento storico e in questo Paese è diventato particolarmente timido il ruolo delle nuove generazioni come forza trainante verso il cambiamento. I motivi di questo indebolimento sono due. Il primo è l’inedita riduzione demografica: mai in passato l’incidenza degli under 35 è stata così bassa nella popolazione italiana. E’ il fenomeno del “degiovanimento” che non si esaurisce con il tema dell’invecchiamento.
Il secondo motivo è che l’Italia è uno dei paesi sviluppati che maggiormente hanno pensato di poter crescere in questo secolo senza il pieno contributo delle nuove generazioni. Rispetto alle altre economie avanzate, abbiamo offerto più protezione privata ai figli ma investito meno risorse pubbliche sulle nuove generazioni (formazione terziaria, politiche attive del lavoro, ricerca, sviluppo e innovazione). Abbiamo dotato i giovani di minori strumenti, rispetto ai coetanei degli altri paesi avanzati, per essere solidamente preparati e motivati, per orientare al meglio le proprie scelte nel mercato del lavoro, per trovare adeguata valorizzazione nel sistema produttivo.
I giovani-adulti (25-34 anni) con un impiego erano oltre 6 milioni nel 1998, sono scesi a 5,6 milioni nel 2008 e arrivano malapena 4 milioni oggi. Abbiamo quindi perso un lavoratore su tre in tale fascia d’età, in parte per motivi demografici e in parte per un tasso di occupazione di circa 15 punti percentuali sotto la media europea. Siamo scivolati in una spirale negativa di bassa quantità e bassa qualità, con i giovani considerati più manodopera a basso costo che leva su cui investire per aumentare competitività e crescita delle aziende.
Per uscire da questa spirale l’Italia ha grande necessità, da un lato, di fare un salto tecnologico per aumentare la qualità del contributo delle nuove generazioni alla crescita strategica del Paese. D’altro lato tale salto va alimentato dall’immissione di nuove intelligenze e adeguate competenze, che la scuola italiana fatica a formare in modo solido e diffuso, che il sistema dei servizi per l’impiego fatica a mettere in connessione efficace con le aziende, che le aziende stesse faticano ad attrarre e a valorizzare. Come evidenzia il report Ocse 2017 sulle National Skills Strategies: “l’Italia sta avendo più difficoltà rispetto ad altri paesi avanzati a completare la transizione verso una società dinamica, fondata sulle competenze”.
Oltre alle competenze avanzate (come quelle digitali) un ruolo cruciale e crescente è riconosciuto alle life skills (come l’apertura al nuovo, l’intraprendenza, la disponibilità ad imparare continuamente, la creatività), in grado non solo di aumentare l’occupabilità, ma soprattutto di trasformare il sapere tecnico in partecipazione di successo ai processi innovativi. Non sappiamo quali competenze tecniche verranno richieste tra dieci anni, ma di certo le life skills saranno utili. Queste competenze non consentono solo di farsi trovare preparati quando si presenta una opportunità, ma anche a cercare attivamente le opportunità e, ancor più, a creare nuove opportunità. A tutt’oggi manca un piano solido e organico per formarle, monitorarle e valutarne la crescita in tutto il percorso di transizione scuola-lavoro (e oltre). Aiutare le nuove generazioni a capire il mondo che cambia e a sentirsi soggetti attivi del cambiamento è l’obiettivo principale che qualsiasi progetto vincente per lo sviluppo del paese dovrebbe porsi.