C’è una sola via per inserire il Paese in un solido percorso di crescita. E’ quella di trasformare le nuove generazioni da principali vittime del lavoro che manca a protagoniste del lavoro che cambia. Il lavoro che manca è ciò che del passato non c’è più, il lavoro che cambia è ciò che del futuro non c’è ancora. Quello che c’era per le generazioni precedenti e oggi sta sparendo, in termini di occupazione e welfare, impoverisce le nuove generazioni solo se nel frattempo non si creano condizioni di sviluppo economico e sociale più coerenti con nuovi tempi, nuove sensibilità e nuove sfide.
Questa consapevolezza è molto forte nei giovani italiani. I dati di una recente indagine condotta dall’istituto Toniolo per Fim Cisl evidenziano una forte domanda di rappresentanza collettiva non solo per dare risposta alle carenze e difficoltà del presente, ma anche per necessità di affrontare le ripercussioni dei grandi cambiamenti della demografia e della rivoluzione tecnologica.
Il mondo che cambia e il rinnovo generazionale devono entrare in relazione positiva per consentire al Paese di crescere migliorando, in prospettiva, le condizioni di tutti. Il messaggio di papa Francesco rivolto ai delegati Cisl in occasione del loro congresso nazionale, raccoglie questa preoccupazione quando afferma che è stolto un Paese che fa lavorare a lungo gli anziani e assegna a molti di essi pensioni d’oro, lasciando i giovani ai margini. Stolto perché si compromette la possibilità per le nuove generazioni di dar basi solide al proprio futuro familiare e previdenziale, ma si riduce anche la loro possibilità di contribuire alla produzione di ricchezza e benessere comune. Con conseguenze ancor più gravi per una società che invecchia come la nostra e che avrebbe quindi ancor più bisogno di essere attivamente inclusiva.
Rispetto all’allargamento della popolazione attiva l’Italia è rimasta indietro su tre fronti. Il primo è quello già accennato dei giovani. Il secondo è quello delle donne, il cui tasso di partecipazione è tra i più bassi nel mondo sviluppato. Il terzo sono i lavoratori maturi. In questo caso più che di allargamento della popolazione attiva si tratta di allungamento della vita attiva. Il tasso di occupazione degli over 55 è tutt’ora sotto la media europea ma è anche vero che – a differenza di quanto vale per giovani e donne – è in atto un evidente processo di convergenza, anche per la spinta un po’ brusca della legge Fornero. Collide questo con l’occupazione giovanile? Poco, in un Paese che cresce, perché in tal caso il mercato diventa una torta che si allarga assieme alle opportunità dei nuovi entranti, valorizzando inoltre il contributo a tutte le età. Il rischio di competizione al ribasso può, al contrario, diventare concreto in un Paese che fatica a crescere, investe poco su innovazione e formazione continua.
Più che pensare ai giovani come soggetti mendicanti lavoro, dovremmo piuttosto pensare al lavoro come spazio da arricchire ed espandere con il contributo originale e qualificato delle nuove generazioni.