Nella testa dei diciottenni. Cari ragazzi futuri centenari

Cosa sappiamo dei diciottenni italiani di oggi? Di quali caratteristiche distintive sono portatori? Come interpretano il loro tempo? Quali desideri, timori, attese hanno rispetto al proprio futuro?

Cosa sappiamo dei diciottenni italiani di oggi? Di quali caratteristiche distintive sono portatori? Come interpretano il loro tempo? Quali desideri, timori, attese hanno rispetto al proprio futuro?
I dati più solidi sono quelli demografici, che ci dicono che i diciottenni sono poco più di 570 mila, compresi circa 45 mila stranieri. Sono nati in un periodo di persistente denatalità, presentano quindi una dimensione meno consistente rispetto alle generazioni precedenti (i 35enni, ad esempio, sono pari a 730 mila e i 65enni attorno a 700 mila).


Rappresentano la parte più matura della Generazione Z. Prima di loro i Millennials, la generazione formata da chi compiuto i diciotto anni dal 2000 in poi. La “Zeta” è invece la prima generazione a non aver memoria diretta del Novecento. La prima a collocare tutta la propria biografia di vita nel XXI secolo e a plasmarla in funzione delle novità che presenta, in termini di rischi e opportunità. Si trovano a costruire i propri progetti di vita in mondo complesso e in rapido mutamento, ma anche pieno di contraddizioni e con punti di riferimento molto meno stabili rispetto al passato.
Hanno più opportunità di muoversi liberamente tra paesi e tra continenti, per piacere, studio o lavoro. Ma è anche vero che gli attuali diciottenni si sono socializzati dopo l’11 settembre 2001, in un clima di insicurezza prodotta nelle grandi città europee dagli attentati jihadisti. A differenza delle generazioni precedenti si sono formati in classi con rilevante presenza di compagni di origine straniera, avendo l’opportunità di sviluppare nuove competenze interculturali. Ma d’altro canto mai così alta è stata nei paesi occidentali la percezione dei rischi legati all’immigrazione, tanto da far crescere le reazioni di chiusura. Il muro di Trump verso il Messico, il distacco del Regno Unito dall’Unione europea, il peso crescente dei movimenti nazionalisti ne sono testimonianza.
La Zeta è anche la prima generazione che fin dall’infanzia ha visto usare l’Euro nel proprio paese e nei viaggi con la famiglia negli altri paesi europei. Ma è cresciuta anche con un progetto europeo che ha perso forza e convinzioni della spinta iniziale, diventando via via più fragile e controverso.
Le stesse famiglie sono diventate più fragili e più complesse. I tassi di instabilità coniugale, rimasti a lungo molto sotto i livelli degli altri paesi occidentali, hanno visto in Italia una forte crescita negli ultimi due decenni. E’ oggi molto più comune per un adolescente sperimentare la separazione dei genitori e trovarsi, conseguentemente, a vivere in una famiglia monogenitore o ricostituita in cui sono presenti figli da unioni precedenti. Tendono inoltre a crescere, molto più che in passato, in famiglie in cui sono figli unici e avendo ancora tutti i nonni viventi. E’ anche la prima generazione con genitori e nonni sui social network.
Nessuno ha ben chiaro come sarà il mondo quando la generazione Z sarà pienamente entrata nella vita adulta. Lo stesso impatto di Industria 4.0 è controverso nel dibattito pubblico, con posizioni che delineano scenari di aumento di disoccupazione e diseguaglianze, mentre altre enfatizzano le opportunità di poter fare di più e meglio grazie all’innovazione tecnologica.
Il rapporto con le nuove tecnologie è senz’altro un elemento distintivo. La Zeta è la prima vera Generazione 2.0. C’è chi ha proposto di usare il nome di iGeneration (iGen) o Digitarians o Touch generation, per sottolineare l’importanza della tecnologia touch, delle App e della connessione permanente. Un impatto che ha ricadute rilevati nelle modalità (formali e informali) di apprendimento, ma anche di ricerca di occupazione, oltre che sull’innovazione dei processi di produzione e consumo.
E’ la prima generazione che va oltre la divisione tra reale e virtuale; che vive una quotidianità che integra – non senza limiti e contraddizioni – vita online e offline. Relazioni, appartenenze e scelte rispondono sempre meno a criteri guida predefiniti e sono continuamente rimesse in discussione. Il bisogno di punti di riferimento, seppur non rigidi, però rimane, come ben descritto nel volume in uscita dell’Istituto Toniolo “Generazione Z. Guardare il mondo con fiducia e speranza” edito da Vita&Pensiero.
I Millennials, come evidenziano molti studi, sono partiti da una spiccata fiducia in sé stessi, con una forte determinazione nel contribuire a cambiare positivamente il mondo, con aspettative elevate sul proprio destino sociale. Si sono però scontrati con una realtà, nella fase di transizione alla vita adulta, molto più ostile e ostica di quanto preventivato.
La Zeta, è invece la prima generazione del secondo dopoguerra a cui già fin dall’adolescenza è stata tramessa l’idea che difficilmente riuscirà a conquistare migliori condizioni di benessere rispetto ai propri genitori. I diciottenni di oggi hanno, inoltre, visto la crisi economica investire in pieno i Millennials. Sono quindi più disillusi, partono con minori aspettative ma non sono meno determinati. Tendono ad essere più cauti e pragmatici, meno sognatori rispetto al futuro ma più concreti rispetto al presente. Vivranno, auspicabilmente, la fase centrale della transizione alla vita adulta nella fase di ripresa dalla crisi economica e potrebbero, se le condizioni dovessero evolvere favorevolmente, diventare protagonista di una nuova fase di crescita.
Più in generale, formare e rafforzare conoscenze e competenze utili per interpretare e gestire il cambiamento è ciò che più oggi serve ad una generazione che arriverà a vivere in media 100 anni, che deve mettere le basi di una età adulta in un mondo molto diverso dall’attuale e inventarsi una fase anziana attiva del tutto inedita rispetto al passato.

Rispondi

  • (will not be published)