Milano ha goduto di una fase di aspettative crescenti nel decennio pre-pandemia. Nell’immaginario collettivo si è imposta come la realtà più in grado di premiare chi si impegna e farsi terreno fertile per idee e progetti. Ha mostrato, di conseguenza, una forte capacità attrattiva nei confronti dei giovani – sia uomini che donne – rafforzando così il peso di ventenni e trentenni residenti in città.
Se sullo sviluppo di Milano, in termini di dinamismo economico e sociale, è risultata particolarmente consistente la componente esogena, molto debole è invece rimasta quella endogena. In particolare la natalità è continuata ad essere molto bassa. Ecco, allora, che se il confronto viene effettuato con la media nazionale a spiccare è l’elevata occupazione femminile, se invece si guarda alle realtà più avanzate in Europa, a parità di opportunità per le giovani donne a emergere è la fecondità milanese sensibilmente più compressa verso il basso.
La scelta di avere un figlio risente di un contesto di complessità maggiore nelle grandi città, rispetto al resto del Paese, che porta alla necessità di strumenti e servizi di maggiore qualità, più versatili e più avanzati. Le stesse ambizioni e aspettative tendono ad essere maggiori nelle aree urbane più dinamiche. Un caso interessante è quello di Berlino, che nell’ultima decade ha attivato un forte investimento a favore sia dell’attrazione di giovani che della ripresa delle nascite, combinando opportunità e servizi. Soprattutto con impegno continuo a fare in modo che i progetti professionali possano essere coniugati positivamente con progetti di vita e di realizzazione familiare. Il rischio per Milano è che ora l’impatto del Covid-19 riduca la forza della componente endogena, per il freno alla mobilità territoriale, e renda ancora più debole quella esogena, con le ricadute negative attese sulle nascite.