Poter ragionare e confrontarsi sulle idee per la città, questo è il motivo per cui Milano non ha voluto rinunciare alle primarie, nemmeno in cambio di un eventuale nome considerato “sicuro”. I politici vogliono soprattutto vincere, mentre l’obiettivo dei cittadini è essere ben governati. Non accontentiamoci, allora, di prendere quello che la politica è disposta a darci ma pretendiamo quello che pensiamo la nostra città abbia bisogno. Certo, le primarie si possono anche fare male e possono anche far male. Ma è proprio questa mentalità che affonda l’Italia, ovvero la malsana convinzione che se una cosa potenzialmente utile non funziona bene vada eliminata anziché impegnarsi a farla funzionare meglio. Viva quindi le primarie. Forse non diventeranno le primarie più belle d’Italia, ma quello che senz’altro è bello è che Milano non smetta mai di provare a dare il meglio.
A chi, allora, le primarie possono essere utili? Possono esserlo per i partiti, perché mobilitano l’interesse verso il candidato che poi si confronterà con quelli delle altre parti politiche. Non è detto però che il candidato più bravo a raccogliere consensi nelle primarie sia anche quello più adatto per vincere le elezioni. Avrebbero quindi un’utilità molto relativa se fossero limitate alla stretta convenienza partitica. Vanno ancor più intese come un aumento del potere decisionale degli elettori: uno strumento che rafforza la partecipazione democratica soprattutto in un contesto di scarsa credibilità dei partiti e bassa fiducia nella politica. Ha fatto bene, in questo senso, il centrosinistra a coinvolgere anche sedicenni e diciasettenni. La scelta che viene operata non riguarda, infatti, solo il presente ma stabilisce l’inizio di un percorso che durerà cinque anni ed è quindi giusto che chi avrà 21 e 22 anni nel 2020 si senta incluso.
In definitiva, le primarie possono essere soprattutto utili alla città. Se tecnicamente nelle elezioni assegniamo un preferenza individuale su un candidato, nella sostanza quella che si produce è una scelta collettiva sul futuro di Milano. Il momento migliore per ragionare e confrontarsi su tale futuro sono proprio le primarie, dove è più facile fare una campagna “per” la città anziché “contro” gli avversari politici.
Un esempio positivo di questa funzione lo si sperimenta, come è accaduto ieri su queste pagine, quando i candidati vengono chiamati a confrontarsi su questioni concrete. In un mio editoriale di venerdì scorso ho richiamato, in particolare, l’attenzione sulla necessità di far crescere la città anche nella capacità di superare i confini tra generazioni, tra centro e periferia, tra innovazione e inclusione, puntando più su chi può produrre nuovo benessere rispetto a chi ha passate sicurezze da difendere. Le risposte dei candidati evidenziano come si possa fare molto per ridurre tali divisioni e rendere alleata l’esperienza con il cambiamento (Balzani), il pubblico con il privato (Majorino), le opportunità con i diritti (Sala).
L’invito è quindi quello di “prendersi” le primarie, di chiedere maggiori momenti di confronto, di diventare parte attiva nel dibattito pubblico, per porre vere domande e non di comodo contro o a supporto. Facciamole diventare l’occasione che serve per il passaggio dalla lettura di ciò che Milano è riuscita ad essere a ciò che vogliamo diventi nel 2020, con precise indicazioni di come arrivarci.