L’Italia intrappolata nella crisi demografica, l’emergenza è la natalità

Record minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia: meno 4,5% rispetto al 2018. La crisi nel lavoro frena la scelta di avere un figlio

L’Italia si trova intrappolata da lungo tempo in una profonda crisi, più insidiosa di qualsiasi recessione economica o altro tipo di emergenza. Si tratta della crisi demografica. I dati sul bilancio demografico nazionale, appena pubblicati dall’Istat, certificano che nel 2019 le nascite sono precipitate a 420 mila.

La pandemia provocata da Covid-19 si annuncia avere conseguenze particolarmente pesanti sulla natalità del 2020 e del 2021, avendo frenato in larga parte i progetti di formazione di una propria famiglia da parte di molti giovani e della scelta di avere un figlio di molte giovani coppie. Ma, come evidenzia il bilancio Istat riferito al 2019, ha colpito un Paese che già era in profonda crisi di vitalità. All’inizio della recessione precedente, nel 2008, le nascite erano circa 577 mila. Nel 2014 risultavano essere scese a poco più di 500 mila, ma la diminuzione è continuata anche nel periodo successivo, toccando il punto più basso di sempre e battendo poi ogni nuovo anno il precedente record negativo. Questo significa che la combinazione tra debolezza delle politiche familiari e incertezza nei confronti delle prospettive future, ha frenato la realizzazione di scelte di vita desiderate ben oltre l’impatto stesso della recessione. Come ha evidenziato sempre l’Istat, nel Rapporto annuale 2020, il numero desiderato di figli per donna continua ad essere attorno a due nel nostro paese, in linea con il resto d’Europa, mentre il tasso di fecondità realizzato è pari a 1,29, nettamente tra i più bassi del continente.

Questi valori persistentemente bassi, accentuano squilibri nella struttura della popolazione che vanno a depotenziare, più che nelle altre economie avanzate, le possibilità di crescita economica e di sostenibilità del nostro sistema sociale. Nel complesso dell’Unione europea, se ad inizio di questo secolo c’erano circa quattro persone in età lavorativa per ogni anziano, oggi il rapporto è approssimativamente tre a uno, con la prospettiva di scendere sotto due a uno. L’Italia è uno degli stati membri che presentano non solo previsioni ancor peggiori rispetto a tale prospettiva, ma con dinamiche recenti che vanno ad aggiornarla ulteriormente in negativo.

Contribuiscono al peggioramento strutturale, secondo i dati dell’ultimo bilancio Istat, anche l’indebolimento del contributo delle donne straniere e la crescita della componente in uscita dei flussi migratori. Le nascite da genitori stranieri nel corso degli ultimi dieci anni si sono ridotte da oltre 78 mila a 63 mila, rimanendo comunque il 15 percento del totale. Togliendo le nascite straniere nell’Italia del 2019 sono nati circa un terzo dei bambini che nascevano a metà anni Sessanta.

Ciò che frena oggi la scelta di avere un figlio è la particolare combinazione tra difficoltà oggettive che i giovani incontrano a inserirsi in modo stabile nel mondo del lavoro, carenza di strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia in una società sempre più complessa, incertezza nei confronti del futuro. Tutti e tre questi elementi risultavano meno favorevoli in Italia rispetto al resto d’Europa nel periodo pre-pandemia, ma sono peggiorati ancor più con l’emergenza sanitaria.

In positivo c’è una nuova impostazione delle politiche familiari contenuta nel Family Act, il cui impatto però dipende da quanto le misure proposte verranno effettivamente finanziate, a partire dall’assegno unico e dal potenziamento dei servizi per l’infanzia. C’è inoltre una possibile spinta a favore delle nuove generazioni che può arrivare da Next Generation Eu, ma che dipende da quanto il rilancio dell’economia verrà legato ad un miglioramento effettivo delle opportunità per i giovani. Infine, molto dipenderà anche dal clima sociale del paese e da quanto l’attuale incertezza potrà essere superata da una visione comune di futuro sul quale la scelta di avere un figlio possa diventare la scommessa principale.

 

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