Un esempio di quanto conosciamo poco le nuove generazioni arriva dall’ultimo Rapporto del Censis. L’Istituto di ricerca, che ogni anno fornisce quello che per gli intellettualmente pigri politici e giornalisti italiani è il principale ritratto del Paese, ha scoperto i “Millennials”. Sono, secondo tale Rapporto, “i giovani che non ti aspetti”: intraprendenti e innovatori. Peccato che ricerche ben più approfondite, ma meno mediatiche, le stesse cose le avessero già documentate da tempo. Il valore aggiunto del Rapporto Censis è quello di mettere assieme, rielaborando da varie fonti, tutto quello che può essere di interesse sulla situazione del paese corredata di una chiave di lettura. Il limite è una interpretazione poco coerente da un anno all’altro, che oscilla continuamente tra ottimismo e pessimismo, molto in linea con un paese che naviga a vista.
Il ritratto della condizione dei giovani italiani è l’esempio più eclatante di come la realtà possa essere dipinta, allo stesso tempo, a tinte brillanti o fosche. Dopo i ragazzi demotivati e rassegnati, ora per la prima volta il Censis – grazie ad un approfondimento finanziato appositamente da Padiglione Italia di Expo 2015 – li ritrae come generazione intraprendente ad alto potenziale: la risorsa principale per la rinascita italiana. Niente di nuovo, ma raccontato con molta enfasi, soprattutto nella parte che riguarda il boom delle startup. Toni quasi entusiastici in un momento in cui ci si interroga però anche sulla retorica attorno a questo tema. In un recente articolo, tra gli altri, de Linkiesta dal titolo “Startup parcheggio per i giovani” si solleva qualche perplessità sulla lettura acriticamente positiva della crescita dell’imprenditorialità giovanile. In molti casi non si tratta di scelta ma di necessità, per le sempre più scarse occasioni di lavoro dipendente. Ma anche quando si tratta di una scelta, “le startup trovano un mercato asfittico, senza fiducia e senza domanda”. L’accusa è che, in carenza di altre opportunità, molti giovani siano invitati a buttarsi allo sbaraglio, a proprio rischio e pericolo. Anche questa è evidentemente una rappresentazione parziale, perché è vero che c’è un mondo del lavoro che sta cambiando e che ha come principale motore – dove corre nella direzione giusta – proprio l’intraprendenza delle nuove generazioni. E’ comunque anche vero che solo una minoranza di giovani può trovare successo nel crearsi il proprio lavoro. Non possiamo poi dimenticare che i Millennials italiani sono anche quelli con più alta quota in Europa di Neet, ovvero di inattivi sia nella formazione che nel lavoro. Un ritratto corretto delle nuove generazioni, funzionale a politiche efficaci, deve tener conto della loro eterogeneità interna e, in particolare, della polarizzazione che si sta creando tra la parte di Neet sempre più rassegnati e demotivati, da un lato, e giovani con capitale umano e sociale ricco in un ambiente stimolante e incoraggiante. Appare quindi particolarmente interessante il progetto Mi-Generation Lab appena lanciato dal Comune di Milano che, nell’ottica dell’innovazione inclusiva, offre ai Neet la possibilità di acquisire nuove competenze e mettersi alla prova proprio all’interno delle realtà più giovani e dinamiche del mondo del lavoro. Questa è la strada per dimostrare con i fatti che ripartire dall’intraprendenza dei giovani non è solo retorica.