La popolazione europea si è fermata e sta entrando in fase di declino. All’inizio del 2021 vivevano nell’Unione Europea poco meno di 450 milioni di persone. Si tratta di 312 mila in meno rispetto al 1° gennaio 2020. Il paese che ha contribuito maggiormente a tale riduzione è stata Italia (-384 mila). La popolazione del pianeta continua invece ad aumentare, pur a ritmi rallentati rispetto al secolo precedente e in modo molto differenziato al suo interno. Nella seconda metà del XXI secolo la spinta della crescita demografica mondiale, sempre più limitata al continente africano, andrà progressivamente ad esaurirsi. Nel frattempo la popolazione diventerà sempre più anziana, come conseguenza del declino delle nascite e dell’aumento della longevità. Gli over 65, che per tutta la storia dell’umanità fino alla fine nel millennio appena concluso avevano un peso demografico inferiore al 5 percento, entro il 2100 arriveranno ad essere circa il 22 percento, ovvero il valore che l’Italia ha già oggi.
All’interno del quadro mondiale l’Italia si caratterizza, in particolare, per due aspetti cruciali. Il primo è aver anticipato la curva discendente: il nostro paese è entrato in fase di irreversibile discesa già nel 2015. Il secondo è aver accentuato gli squilibri demografici interni: siamo infatti uno dei paesi in cui la popolazione anziana e quella giovanile vanno con maggior intensità in direzione opposta.
La questione vera non è però l’aumento della longevità e nemmeno il declino, in sé, degli abitanti del pianeta o di uno specifico territorio. E’ sull’adeguato rapporto tra generazioni che va concentrata l’attenzione. E’ illusorio pensare di costruire un futuro migliore aggiungendo vita davanti a sé (vivere individualmente sempre più a lungo) lasciando indebolire quella dietro di sé (nascite e condizione dei giovani). Lo stesso concetto di sviluppo sostenibile mette al centro il ruolo delle nuove generazioni. La riduzione della loro consistenza quantitativa ha portato ad esaurire la fase di aumento della popolazione allentando la pressione su risorse e ambiente. Nelle economie mature la crescita endogena della popolazione non è, di fatto, più possibile per il resto del secolo. Ma rimanere vicini al livello di sostituzione generazionale – ovvero consentire al numero medio di figli per donna di risalire dal valore di 1,24 attuale a valori poco sotto 2 (come Francia e Svezia) – consentirebbe quantomeno ai giovani di non veder ridotto troppo il loro peso politico, il proprio ruolo nei processi di cambiamento, oltre che non trovarsi troppo schiacciati dai costi della crescente popolazione anziana (in termini di spesa sanitaria e previdenziale, oltre che dall’enorme debito pubblico).
Una ripresa delle nascite con consistenti flussi migratori adeguatamente gestiti consentirebbe, però, solo in parte di contenere gli accentuati squilibri demografici italiani. Oltre a fare in modo che la forza lavoro non si riduca troppo nei prossimi anni e decenni è allora fondamentale migliorare anche la sua qualità.
Detto in altro modo, per rilanciare il paese – tanto più dopo lo shock subìto con la pandemia – è necessario ripartire da ciò che la demografia mette al centro del cambiamento, ovvero il rinnovo generazionale, sia quantitativo che qualitativo. Le inedite risorse di Next Generation Eu devono, in questa prospettiva, diventare anche parte di un progetto di riorientamento degli investimenti sulle scelte che accompagnano e rafforzano l’entrata e la presenza qualificata dei giovani nei processi di sviluppo sociale ed economico del paese.
L’occupazione di qualità delle nuove generazioni, sia maschile che femminile, va considerata la risposta principale nello scenario post pandemia per alimentare una crescita economica che complessivamente, nel breve e nel medio-lungo periodo, renda: sostenibile il debito pubblico; sostenibile il sistema di welfare pubblico di un paese fortemente sbilanciato verso le età anziane; sostenibile, innovativo ed efficiente il modello di sviluppo del paese alimentando con nuove competenze e sensibilità la transizione digitale e verde.
Va, infine, rafforzata la forza lavoro promuovendo una presenza di qualità in tutte le fasi di una lunga vita attiva. L’aumento della popolazione anziana non va, infatti, visto solo dal punto di vista quantitativo e va, soprattutto, aiutato ad avere un ruolo positivo nei processi di sviluppo sostenibile. Questo significa trasformare la quantità di anni in più in qualità di vita aggiuntiva; la quantità di anni di lavoro in più in condizioni che consentano una presenza soddisfacente e produttiva nel mondo del lavoro (attraverso formazione continua, tecnologie che rendano gli ambienti più sicuri e i processi più efficienti, un’organizzazione che valorizzi l’esperienza e la collaborazione tra generazioni); ma anche orientamenti di consumo e disponibilità finanziaria verso prodotti e servizi che favoriscono, nello spirito della silver ecology, la transizione verde.
Solo mettendo in relazione positiva transizione demografica con transizione verde e digitale è possibile consentire all’Italia di rimettersi in gioco – con le sue specificità ma superando i suoi limiti – all’interno dei processi più virtuosi e promettenti di sviluppo e produzione di benessere di questo secolo.