L’ascensore sociale da far ripartire

Dopo aver sbagliato l’approccio alla crisi rischiamo ora di non interpretare nel modo giusto la fase di ripresa, dalla quale invece il paese potrebbe trarre grande slancio. Se non ripartiamo con il passo giusto il nostro destino è quello di rimanere irrimediabilmente nelle posizioni di coda dei paesi più sviluppati.

In questi anni abbiamo subìto la recessione come si fa con un evento meteorologico. Ciascuno ha cercato di ripararsi come poteva e ora, scorgendo qualche spiraglio di sole che passa attraverso le nuvole, ci auguriamo l’un l’altro che il peggio sia passato. Dopo aver sbagliato l’approccio alla crisi rischiamo però ora di non interpretare nel modo giusto la fase di ripresa, dalla quale invece il paese potrebbe trarre grande slancio. Se non ripartiamo con il passo giusto il nostro destino è quello di rimanere irrimediabilmente nelle posizioni di coda dei paesi più sviluppati.

Abbiamo appena festeggiato il 2 giugno che non è solo la festa della Repubblica ma rappresenta simbolicamente anche l’inizio di una nuova fase della storia del nostro paese: il momento in cui abbiamo lasciato definitivamente indietro il periodo buio del fascismo e della guerra e ci si è lanciati tutti in avanti. Un nuovo assetto istituzionale, un modello sociale espansivo, un forte investimento sull’istruzione, contribuirono ad alimentare un solido processo di crescita. Quella che si aprì fu soprattutto una fase di grande mobilità sociale. Un periodo in cui per le nuove generazioni si spalancarono nuove opportunità di raggiungere obiettivi più ambiziosi rispetto a quelle precedenti. La mobilità sociale corrisponde, in particolare, alla possibilità dei figli di riuscire a migliorare la propria posizione nella società e nel mercato del lavoro rispetto ai propri genitori. In quella fase storica tutto venne semplicemente rivisto verso l’alto grazie non solo, in negativo, alla discontinuità rispetto a quello che non si voleva più essere, ma ancor più, in positivo, ad un’idea chiara e condivisa di quello che si voleva diventare e sul come realizzarlo. Oggi abbiamo forse altrettanta evidenza su cosa non funziona più del passato ma meno chiara è la direzione da intraprendere. Il rischio è quindi quello di una ripresa dallo slancio spento, che non ci porta lontano anche perché non abbiamo ben chiaro dove vogliamo andare, quale nuova Italia vogliamo assieme costruire e su quali basi. Siamo un paese che da  oltre un ventennio non riesce a crescere e che ha subito una pesante crisi durata più di una guerra, seppur, fortunatamente, meno cruenta. Da dove vogliamo ripartire? Da un modello di sviluppo che riattivi soprattutto la mobilità sociale ed abbia in mente una concezione di benessere più ampia di quella del prodotto interno lordo. La decrescita più infelice è quella che condanna i figli a volare più basso dei padri e delle madri perché non solo non aumenta la ricchezza ma perpetua le diseguaglianze. Siamo uno dei paesi sviluppati in cui un giovane che parte da una famiglia svantaggiata, a parità di proprie potenzialità, presenta maggior rischio di abbandono precoce degli studi. Se arriva ad iscriversi all’università, più alta è la probabilità che non concluda. Se si laurea, minori sono le opportunità di trovare un lavoro in grado di valorizzarne capacità e competenze. E’ questo, più del debito pubblico, il maggior macigno che blocca qualsiasi slancio verso l’alto dell’intero sistema paese. Mobilità sociale e dinamismo economico sono strettamente legati. Senza politiche credibili che puntino a rimettere in moto l’ascensore sociale nessun nuovo ciclo di crescita è possibile.

Rispondi

  • (will not be published)