Il titolo del libro appena pubblicato da Giuliano Pisapia, “Milano città aperta” – al di là dei sassolini da togliere – offre una chiave di lettura dell’impronta che il sindaco ha voluto lasciare con la sua amministrazione. Il desiderio, indicato esplicitamente nel testo, è essere ricordato come protagonista di una stagione di cambiamento. In effetti, nel primo decennio del XXI secolo la città è apparsa oscillare tra la propensione ad aprirsi e sfidare i cambiamenti, da un lato, e la resistenza verso il nuovo e la tentazione a chiudersi in difesa, dall’altro. La crisi ha agito spingendo più verso il secondo dei poli, mentre – quanto meno nelle intenzioni – la giunta Pisapia ha cercato di indirizzare le energie della società a favore del primo. Oggi la città sembra in effetti più “aperta” rispetto a cinque anni fa e il fatto che il sindaco abbia posto con enfasi tale termine nel titolo del libro – pur nelle varie accezioni che si possono attribuire – fa pensare che lo consideri un risultato acquisito o, in ogni caso, senta di aver messo in moto un irreversibile processo in tale direzione.
Aperta nel senso di una “città che dialoga con tutti” pur rimanendo salda nelle sue radici. Una città che accetta la sfida posta dalle trasformazioni che stanno rivoluzionando i modi dell’abitare, del produrre, dello spostarsi sul territorio, della partecipazione e dello stare assieme. Una città riconosciuta nel mondo e che sa attrarre il mondo, come dimostrano eventi quali il Salone del Mobile in corso e ancor più Expo 2015 in arrivo. Grazie a tutto questo – con particolare enfasi sulle innovazioni del co-working, della sharing economy, delle startup, della riqualificazione urbana – secondo Pisapia è Milano quella che va considerata di fatto la vera capitale d’Italia. Città quindi che sostituisce Roma nell’essere oggi veramente “aperta”, nel mettersi al centro di trasformazioni che aprono ad un nuovo ciclo positivo del rapporto tra politica, partecipazione e sviluppo. Da qui – sempre facendo riferimento alle suggestioni del titolo – sarebbe partito cinque anni fa un cambiamento che ha chiuso un ventennio di gestione opprimente del potere, più piegato a tutela dei poteri forti che attento al bene comune. Legalità e attenzione ai diritti di tutti vengono considerate aspetti salienti di questa nuova stagione. Lo stesso vale per il nuovo impegno a contrasto alle diseguaglianze. Ed infine, una città aperta nel senso di accogliente verso i flussi di immigrazione dall’Est Europa e dai paesi meno sviluppati degli altri continenti.
Se chiediamo ai nostri concittadini se vedono oggi Milano più aperta al cambiamento sociale e culturale rispetto a cinque anni fa, la risposta è probabilmente positiva. Sul fatto che la percepiscano come più sicura la risposta è invece più dubbia e controversa. E’ verosimile quindi, ma già qualche segnale si è visto, che proprio sul tema della sicurezza si giocherà gran parte del prossimo scontro elettorale. La vera sfida per il centrosinistra è ora quella di trovare la chiave per apparire convincente nel cercar di conciliare apertura con sicurezza, disponibilità al cambiamento e alle sue opportunità con garanzia di protezione rispetto ai nuovi rischi.
Per farlo serve una nuova generazione, che sia in grado di andar oltre il lascito positivo di una città liberata dall’oppressione passata, per renderla una metropoli generativamente aperta verso il futuro.