Ci riferiamo all’autore della citatissima parabola dei talenti, un brano insidioso che si presta a interpretazioni strumentali. Non a caso ne esistono due versioni. In quella nel Vangelo di Matteo il servo a cui viene dato di meno si accontenta poco virtuosamente di conservare ciò che ha, mentre i due servi a cui viene dato di più raddoppiano entrambi la dote iniziale. La meno nota variante nel Vangelo di Luca – dove si usa la meno preziosa mina rispetto al talento – prevede invece che il padrone dia a tutti i servi lo stesso ammontare. La domanda che ci si può porre è perché sia diventata più famosa ed utilizzata la prima versione rispetto a questa più equa di Luca. Perché, in altre parole, funziona meglio come insegnamento l’idea che i meno dotati meritino la propria più bassa condizione?
Il motivo non è tanto il fatto che la parabola di Matteo rappresenta meglio la disparità in partenza che deriva dal fatto che si nasce con doti fisiche e intellettuali diverse, in famiglie di vario ceto sociale, in epoche storiche più o meno favorevoli. A ben vedere, infatti, nel testo si fa riferimento a qualcosa che viene dato, non a doti innate. Una lettura più fedele che si può dare è allora quella che suggerisce che se ti viene offerta una opportunità non puoi lasciarla scappare, devi coglierla. Tanto più se te ne viene data una sola è una colpa sprecarla. Diventa così più chiaro perché la parabola sia così severa con chi spreca il suo unico talento. Una lettura che contiene in sé anche l’idea che cogliere opportunità porti a creare ulteriori opportunità. Il talento è come la chiave di una porta, se lo usi per aprirla anche altri potranno poi entrare e da quella stanza aprire altre porte, accedere così a nuove opportunità prima nemmeno immaginate. L’innovazione funziona in questo modo. Chi, pur avendo la chiave, lascia la porta chiusa, crea danno per tutti, è giusto quindi dare più opportunità a chi meglio sa trarre il miglior frutto da esse. Risulta così anche più chiara la conclusione della parabola che altrimenti può apparire dura e ingiusta : “Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”. Una conclusione che ha portato Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, a proporre una variante “aprocrifa” nella quale il servo che ha sprecato il proprio talento riconosce la sua mancanza e il padrone anziché cacciarlo lo incoraggia a rimettersi all’opera con fiducia.
Per l’Italia di oggi l’insegnamento da trarre è duplice. L’importanza di aumentare le occasioni per i giovani ma, come genitori ed educatori, pretendere anche che essi le colgano al meglio contribuendo ad un processo di moltiplicazione delle opportunità per tutti. L’importanza, inoltre, di non lasciare indietro nessuno facendo riacquistare la fiducia di poter essere immessi in un circuito virtuoso in cui più dai, per quanto poco inizialmente, e più ti sarà dato. A ben vedere, le condizioni base per avviare un processo che si autoalimenti e produca crescita inclusiva.