A che età si diventa vecchi? Nelle statistiche ufficiali, come quelle prodotte dall’Istat o presenti nell’Annuario statistico regionale della Lombardia, il tasso di invecchiamento si riferisce alla popolazione di 65 anni e più. Secondo, però, i dati di una recente ricerca dell’Università Cattolica solo il 16 percento degli uomini e il 29 percento delle donne tra i 65 e i 74 anni afferma di sentirsi anziano. Risultati coerenti con altre indagini sulle condizioni oggettive e sulla percezione della propria condizione dei sessantenni e dintorni. Vengono in mente le parole di Mastroianni che in una intervista rilasciata a 72 anni affermava di non sentirsi per nulla vecchio, “casomai leggermente anziano”. Una affermazione che evidenzia come il termine “anziano” sia sempre meno adeguato per indicare le persone che oggi hanno meno di 75 anni, mentre la condizione di “leggerezza” nell’attraversare tale tratto dell’esistenza sia sempre più percepita e desiderata.
Questo vale ancor più in paesi come l’Italia nei quali il traguardo dei 65 anni non solo è diventato negli ultimi decenni facilmente raggiungibile, ma lo si supera di slancio: pieni di vitalità, di salute e voglia di fare. Si sta infatti sempre più aprendo una nuova fase della vita in cui non si è più nella piena età adulta ma non ancora del tutto entrati in quella anziana. Dobbiamo allora liberarci non solo del termine “anziano”, quantomeno per gli under 75, ma anche di tutti i luoghi comuni che non ci aiutano ad assegnare il giusto valore sociale alla parte più matura della popolazione.
Le opportunità da cogliere con questa sfida sono poi maggiori in regioni come la Lombardia dove, a parità di quota di over 65, migliori sono le condizioni e le prospettive di vita rispetto al dato nazionale. Il dato più recente indica per la nostra regione una aspettativa di vita superiore di ben mezzo anno rispetto al resto del paese. Ancora migliore il dato della provincia di Milano che si colloca sopra di un circa un anno rispetto ai livelli medi italiani.
A questa crescita non ha però corrisposto un adeguato potenziamento degli strumenti concettuali e operativi per valorizzare questa risorsa sempre più strategica per il benessere sociale. Si parla molto di “sharing economy”, l’economia della condivisione, molto in sintonia con sensibilità e competenze sviluppate dalle giovani generazioni. Ma ampie potenzialità da incoraggiare offre anche quella che potremmo chiarare “sharing demography”, che vede come maggiori interpreti le generazioni più mature. Alla base c’è la propensione a dare e fare assieme, estendendo la solidarietà espressa all’interno dei legami familiari nel contesto comunitario più ampio. Sempre la ricerca della Cattolica mostra come nella fascia 65-74 la grande maggioranza delle persone fornisca molto più supporto e aiuto che riceverlo.
Alcune iniziative interessanti si stanno già sperimentano nel Comune di Milano, ma la crescente ricchezza costituita dalla dotazione di saperi, esperienze, conoscenze, tempo, dei senior continua a rimanere largamente sottoutilizzata. La capacità di condivisione comunitaria di questo patrimonio deve fare un salto di qualità se vogliamo diventare una società in grado di combinare virtuosamente maturità e benessere.