È in corso nel XXI secolo un passaggio unico nella storia dell’umanità che va a ridefinire le fasi della vita e a ristrutturare il rapporto tra le generazioni. Il motore di questa grande trasformazione è la “transizione demografica”, che può essere intesa come il processo che porta da una società organizzata sulla abbondante presenza di giovani ad una con peso preponderante della componente anziana.
La popolazione più matura aumenta in tutto il pianeta perché oggi si vive molto più a lungo che in passato. La riduzione dei rischi di morte nelle varie età della vita sposta attorno a due il livello di fecondità che garantisce il ricambio generazionale (bastano due figli per sostituire i genitori alla stessa età). In coerenza con i mutamenti nel passaggio dalla società agricola a quella industriale diminuisce la quantità di figli e aumenta l’investimento sulla qualità (in termini di salute, di ambiente sano, di solida formazione, di sostegno ai progetti di vita). Va così a restringersi la base della piramide demografica (popolazione più giovane) a fronte di una punta (popolazione più anziana) che si alza e allarga. L’umanità entra così in una condizione del tutto nuova che impone la sfida di garantire sviluppo e benessere in un mondo in cui rallenta il rinnovo portato dalle giovani generazioni nella società e nel mercato del lavoro (“degiovanimento”) a fronte di un intensificarsi della permanenza nella fase che va oltre la piena vita adulta (“invecchiamento”).
Questo grande mutamento demografico di fondo pone tre elementi di novità che vanno interpretati e gestiti nel contesto di uno sviluppo sostenibile integrato: la variazione del rapporto quantitativo tra generazioni, il cambiamento qualitativo delle varie fasi della vita, l’aumento della domanda di cura e assistenza in età anziana. La transizione demografica si sta realizzando con tempi e intensità diversi nelle varie aree del mondo. In particolare in Africa è ancora nettamente prevalente la popolazione più giovane. Quindi un ulteriore tema rilevante è anche l’evoluzione differenziata, pur nel corso di un processo che in prospettiva va comunque verso l’invecchiamento in tutto il mondo.
Un rapporto quantitativo tra generazioni in mutamento
Riguardo al primo elemento, l’Italia è diventato (già nella prima metà degli anni Novanta del secolo scorso) il primo Paese al mondo in cui il numero di residenti under 15 è sceso sotto quello degli over 65. Quest’ultima fascia d’età ha oggi superato anche gli under 25 ed entro il 2040 (forse già entro il 2035) supererà anche gli under 35.
La fase in cui la fascia centrale in età lavorativa rimane ampia e prevalente su quella più giovane e quella più matura, viene chiamata “dividendo demografico”. I Paesi occidentali hanno oramai lasciato alle spalle tale dividendo, perché le generazioni nate quando il numero medio di figli era superiore a due si stanno spostando verso l’età della pensione, mentre stanno entrando al centro della vita attiva quelle nate quando la fecondità è scesa sotto tale soglia.
La sfida di vivere a lungo e bene può essere colta positivamente quanto più la popolazione in età attiva rimane quantitativamente consistente: da tale componente dipende, infatti, la capacità di un Paese di generare benessere, ovvero di alimentare i processi di sviluppo economico e di rendere sostenibile il sistema sociale (finanziando e facendo funzionare il sistema di welfare). Si avvicinano a tale situazione le economie mature avanzate che nella fase finale della transizione riescono a mantenere la fecondità non troppo sotto i due figli per donna.
L’Italia è, invece, uno dei Paesi con più persistente bassa natalità: da oltre quarant’anni il tasso di fecondità si trova sotto 1,5 figli per donna: è quindi tra quelli che rischiano maggiormente di ampliare in modo insostenibile gli squilibri quantitativi nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni.
La rivoluzione qualitativa delle fasi della vita
Il secondo elemento di novità corrisponde al cambiamento sperimentato dalle persone lungo il loro corso di vita. Il miglioramento continuo delle condizioni di benessere generale e di salute hanno reso sempre più comune arrivare ad età che in passato venivano raggiunte solo da una stretta minoranza della popolazione e in condizioni spesso precarie. Nelle società del passato, fino a poche generazioni fa, la probabilità di un nuovo nato di arrivare a 65 anni era pari a un terzo. Oggi è superiore al 90 percento.
L’aumento dell’aspettativa di vita è un processo auspicabilmente irreversibile, da rafforzare continuamente per dare qualità alla quantità di anni in più. Ma più si aggiunge qualità alla quantità di anni guadagnati si mette le generazioni successive nella condizione di andar ancor più oltre. Questo porta a rivoluzionare condizioni, rischi e opportunità nelle varie fasi della vita, oltre ad avere ricadute sui rapporti intergenerazionali.
Le soglie che delimitano le varie fasi dell’esistenza umana sono in continuo mutamento, per l’azione della longevità e l’impatto delle nuove tecnologie, ma tendono a essere anche molto diverse da persona a persona. Ancora molta strada resta da fare, sia per cogliere pienamente le potenzialità di questa grande trasformazione, sia per colmare le troppe ineguaglianze, che ancora persistono rispetto all’accesso alle opportunità e alla vita in buona salute.
Non è quindi possibile fermare l’aumento della longevità rinunciando ad aumentare continuamente la qualità degli anni che si aggiungono, se non si vuole rischiare di tornare indietro anche rispetto alle condizioni di vita più generali: abbassare la guardia sul sistema sanitario, sulla cultura del benessere, sul rapporto con l’ambiente, produce danni per tutti (come ha mostrato anche l’esperienza della pandemia di Covid-19 che ha bloccato relazioni sociali ed economia).
Va precisato che il processo di continuo miglioramento si deve non solo al progresso della medicina, ma anche ad un’evoluzione culturale verso una maggiore attenzione alla salute, che porta a rafforzare le tutele negli ambienti di lavoro, a una maggiore consapevolezza rispetto comportamenti individuali a rischio (come il fumo, l’alcool, ecc.), oltre che all’importanza di azioni positive, come la cura personale, le diete equilibrate, lo sport.
Cultura della salute e accesso a servizi di qualità sono stati favoriti dall’aumento dei livelli di istruzione e dalle condizioni economiche. Come varie ricerche documentano, contano anche fattori sociali e psicologici, come la qualità della rete di relazione e l’atteggiamento positivo nei confronti della vita e curioso verso il futuro.
In questa prospettiva, l’Unione europea e molti Paesi in fase avanzata della transizione demografica stanno sempre più promuovendo progetti finalizzati ad implementare l’invecchiamento attivo (active ageing). Con tale concetto si intende il processo che consente di far corrispondere all’aumento quantitativo della longevità anche una migliore qualità della vita, ma anche una più duratura e soddisfacente partecipazione nella società e nei processi che generano benessere collettivo (in coerenza anche con le prospettive dell’age management per quanto riguarda il lavoro e della silver economy per quanto riguarda consumi e investimenti).
Una domanda di cura e assistenza in crescita
Infine, il terzo elemento riguarda la parte più problematica dell’invecchiamento, quello dell’aumento della popolazione anziana in condizione di fragilità. Se sono in continuo aumento nel tempo le opportunità di un protagonismo attivo nell’economia e nella società dei sessantenni e settantenni, attualmente oltre gli ottant’anni si osserva, invece, una riduzione della capacità di fornire un contributo esterno. Oltre tale soglia diventa prevalente la necessità di ricevere sostegno anche per le proprie attività quotidiane. Gli over 80, infatti, sono la componente in maggior crescita nella popolazione europea e italiana, in termini quantitativi, più di quanto stia progredendo la riduzione dei rischi di disabilità a parità di età.
L’errore che come genere umano non dobbiamo fare, dopo aver sconfitto i rischi di morte in età precoce, è condannarci ora a considerare la longevità come accidente e inconveniente.
L’attenzione alla condizione anziana nella dottrina sociale
La dottrina sociale della Chiesa cattolica invita a leggere e ad affrontare la condizione della persona anziana con un approccio improntato alla dignità intrinseca di ogni individuo e al rispetto per la vita in ogni sua fase. Il punto di partenza è la dignità della persona umana di qualsiasi età, qualsiasi sia la condizioni e il ruolo nella società.
Nello specifico, gli anziani sono considerati portatori di un’esperienza di vita preziosa e di saggezza, aspetti cruciali della costruzione di una società più ricca e integrata. Dignità e partecipazione attiva vanno declinati con i concetti di solidarietà e giustizia sociale.
La solidarietà implica la responsabilità reciproca tra le diverse generazioni, incoraggiando il mutuo sostegno, il confronto costruttivo e la collaborazione generativa in ogni ambito (familiare, lavorativo, sociale, politico). Giovani e anziani devono poter essere trattati con equità e giustizia, consentendo accesso inclusivo a risorse e servizi in funzione dei bisogni di ciascuno nelle varie fasi della vita e rafforzando il senso di appartenenza comunitario.
In coerenza con tutto questo Papa Francesco è più volte intervenuto richiamando l’importanza di opporsi alla cultura della scarto (che porta «all’avvertire la presenza degli anziani come un peso» e «ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi», come viene rispettivamente sottolineato in Amoris lætitia, 43 e in Laudato si’, 123), promuovendo, invece, una “cultura dell’incontro”, la quale implica prestare attenzione a tutti, specialmente a coloro che più sono emarginati, escludendo qualsiasi forma di discriminazione, di abbandono, di indifferenza.
Rivolgendosi direttamente agli anziani ha affermato, inoltre, che la vecchiaia «è un tempo di grazia, nel quale il Signore ci rinnova la sua chiamata: ci chiama a custodire e trasmettere la fede, ci chiama a pregare, specialmente a intercedere; ci chiama ad essere vicino a chi ha bisogno… Gli anziani, i nonni hanno una capacità di capire le situazioni più difficili: una grande capacità! […] Un popolo che non custodisce i nonni e non li tratta bene è un popolo che non ha futuro! Perché non ha futuro? Perché perde la memoria, e si strappa dalle proprie radici. Ma attenzione: voi avete la responsabilità di tenere vive queste radici in voi stessi!» (Incontro del Papa con gli anziani, 2014).
Il compito di trasmettere i valori fondamentali della società umana e della tradizione cristiana è affidato alle generazioni più anziane. Esse, in tutte le società, sono custodi della memoria collettiva, quindi patrimonio inestimabile di testimonianze umane e spirituali. Sono considerate, pertanto, dalla dottrina sociale interpreti privilegiate dell’insieme di ideali e di valori comuni che reggono e guidano la convivenza sociale. Come si trova scritto nella Lettera di Giovanni Paolo II agli anziani (1999), escluderli equivale a rifiutare il passato nel quale affondano le radici del presente, in nome di una modernità senza memoria.
Un approccio integrale
Un welfare, come quello italiano, tradizionalmente basato sulla solidarietà familiare per l’assistenza ai membri più fragili si rivela sempre più inadeguato e insostenibile a fronte del crescente numero di anziani soli, soprattutto verso coloro che non possono contare sull’aiuto da parte dei figli adulti (perché non ci sono, perché risiedono lontano o perché non riescono a conciliare necessità lavorative e responsabilità di cura).
La risposta principale continua tuttora ad essere quella fornita all’interno della famiglia, con reti informali di aiuto intergenerazionale che si trovano sempre più in sovraccarico con conseguente tensione nei rapporti e frustrazione in chi riceve e in chi fornisce aiuto.
I dati Istat più recenti evidenziano come circa un terzo degli anziani con difficoltà a condurre una vita indipendente e autonoma non si senta adeguatamente aiutato, con ampie differenze all’interno del territorio italiano. Le famiglie hanno cercato di trovare soluzioni alternative, nella logica del welfare fai-da-te, ricorrendo alle cosiddette badanti, ovvero rivolgendosi al mercato privato, spesso costituito da donne straniere, non sempre con contratto regolare e in possesso dei requisiti professionali per tale ruolo.
Sul versante pubblico l’offerta di servizi è spesso frammentata e disomogenea sia in termini di tipologia di interventi che di organizzazione che li eroga. I servizi assistenziali domiciliari presentano dei limiti non solo rispetto al numero di persone bisognose che riescono a raggiungere, ma soprattutto in termini di effettiva intensità e di qualità del sostegno fornito.
Rispetto al versante privato, l’esigenza di tenersi in salute, quella della prevenzione e la disponibilità di tecnologie di monitoraggio digitale, possono trovare efficace combinazione con prodotti assicurativi (polizze di long-term care) di protezione rispetto al rischio di perdita dell’autosufficienza. Devono però essere accessibili in modo inclusivo anche alle nuove generazioni e integrate con servizi di welfare che incentivano a mantenere stili di vita sani e sottoporsi controlli regolari.
La spesa previdenziale e per la salute pubblica devono poter evolvere in modo sostenibile con le trasformazioni demografiche in atto che mutano anche la distribuzione dei bisogni sul territorio e lungo le fasi della vita. Nelle economie mature più dinamiche gli stessi capitali previdenziali devono costituire fonti strategiche per alimentare processi di innovazione tecnologica e benessere, a favore soprattutto delle opportunità di tutte le nuove generazioni e di uno sviluppo sostenibile.
Sul territorio italiano è poi presente una solida rete costituita da organizzazioni della società civile che, oltre a sperimentare soluzioni in termini di innovazione sociale, intermediano le necessità degli anziani e delle famiglie verso le istituzioni con proposte di riforme del sistema di welfare. Attraverso le risorse del PNRR l’Italia sta cercando di intervenire in modo sistemico con un rafforzamento dei servizi pubblici di assistenza domiciliare, per renderli più omogenei e accessibili sul territorio, cercando anche soluzioni per regolamentare meglio il fenomeno delle badanti.
Vanno, infine, considerate le prospettive di benessere in età anziana delle nuove generazioni. Il ritardo nei tempi di ingresso nel mondo del lavoro, i bassi salari e la loro discontinuità, rischiano di condannare un’ampia fascia di attuali giovani a povertà in età anziana con pensioni future basse.
L’invecchiamento della popolazione, in definitiva, si vince solo mettendo al centro la persona, nello sviluppo delle diverse fasi della vita, in modo integrale all’interno della comunità e attraverso un rafforzamento integrato delle misure di welfare che favoriscano un adeguato rapporto tra generazioni all’interno della famiglia, del contesto lavorativo, nella società.