Se li si forma bene e gli si offrono gli stimoli giusti diventano una risorsa preziosa per rendere le aziende italiane competitive, produrre innovazione, far crescere il territorio in cui vivono. Se non li si dota delle competenze necessarie e non si offrono opportunità vere di valorizzazione rischiano di scoraggiarsi e diventare un costo sociale. Sono i membri delle nuove generazioni, gli attuali under 30. Presentano caratteristiche simili in tutto il mondo perché sono cresciuti assieme alla realtà che cambia e sono quindi anche potenzialmente i migliori interpreti delle sfide del proprio tempo, quelle poste dalla globalizzazione, dalla rivoluzione digitale, dalle trasformazioni demografiche.
La possibilità di vincere tali sfide non è però omogenea in tutto il globo. In alcuni paesi emergenti le nuove generazioni possono cogliere opportunità inedite rispetto a quelle precedenti, come fu per la generazione cresciuta in Italia nel secondo dopoguerra. In alcune economie avanzate, i giovani possono diventare avanguardie di nuovi stili di vita, modalità di relazione, percorsi di crescita. Possono essere il nuovo che crea il nuovo. In altri paesi il ruolo delle nuove generazioni rischia invece di impoverirsi, lo slancio verso il cambiamento di affievolirsi, la spinta alla produzione di nuovo benessere di indebolirsi. Questo rischio è molto alto in Italia come mostrano i dati del recente “Rapporto annuale” pubblicato dall’Istat.
Gli under 30 italiani, rispetto alle generazioni precedenti e ai coetanei europei, li troviamo più facilmente a carico dei genitori, fruitori del passivo welfare familiare, anziché pienamente attivi e inseriti nei processi di cambiamento sociale e di sviluppo economico del paese.
La generazione cresciuta nel secondo dopoguerra è partita da condizioni di scarsità e con aspettative basse. Si è trovata però in una fase di potenziale espansione. Ha riconosciuto e colto le opportunità del proprio tempo, diventano protagonista di un’Italia che ripartiva con fiducia verso il futuro, allargando welfare e diritti sociali, producendo vitalità demografica e crescita. E’ quindi stata una generazione che, nell’entrata nella vita adulta, si è trovata con possibilità concrete maggiori rispetto alle aspettative. Ha quindi anticipato tutte le tappe, dall’autonomia dai genitori, all’entrata stabile nel mercato del lavoro, alla formazione della famiglia.
Al contrario le generazioni che hanno concluso gli studi dalla fine degli anni Novanta in poi sono cresciute, mediamente, nell’abbondanza e con aspettative elevate ma si sono poi scontrate con una realtà sfavorevole e poco incoraggiante: welfare inefficiente, debito pubblico enorme, invecchiamento della popolazione, carenza di investimenti in formazione, ricerca e innovazione. La conseguenza è stata la revisione al ribasso delle aspettative e il rinvio degli obiettivi di piena realizzazione professionale e familiare. La recessione ha accentuato difficoltà e tendenza alla posticipazione.
Se c’è però un momento buono per ripartire è proprio quello di uscita dalla crisi; se c’è una risorsa da mettere in campo per rilanciare il paese non possono che essere le nuove generazioni. Se c’è un luogo in cui si può dimostrare che è possibile, è Milano. Come farlo, è la domanda giusta da porre ai candidati sindaco.