Il necessario antidoto. Politica deludente, giovani in difesa

Oggi tutto nella vita dei giovani italiani è schiacciato in difesa, compreso il voto. Senza proposte catalizzanti e convincenti di apertura al nuovo – come è stato in varia misura per Obama e Macron – prevalgono l’astensione, il mettersi alla finestra, o il voto come espressione di insofferenza per un presente scadente o come timore di trovarsi vittime di un cambiamento malgestito. È così che minoranze allarmate pesano di più sul risultato complessivo.

Le elezioni mettono i cittadini davanti a due scelte. La prima è se partecipare o meno al voto. La seconda, nel caso si decida di recarsi al seggio, è la scelta della preferenza da attribuire ai vari simboli proposti sulla scheda e, quando si può e purtroppo non sempre si può, alle persone candidate in quella stessa lista. Se cresce la sfiducia verso la capacità della politica di migliorare il contesto in cui si vive e nel gestire positivamente i cambiamenti in corso, tendono ad aumentare sia l’astensione sia il voto “contro”. Ecco allora che al secondo turno delle amministrative di domenica più di un avente diritto su due ha deciso di non contribuire a determinare l’esito del ballottaggio nella propria città. Un chiaro segnale della bassa convinzione di tanti cittadini verso un’offerta politica che li scaccia da sé e dalla partecipazione.


Tra chi ha inserito la scheda nell’urna ha poi prevalso il voto “contro” in due modi: non confermando chi già amministrava la città e/o indicando partiti attualmente non alla guida del Paese. Sui risultati delle elezioni amministrative pesa sempre, del resto, un mix tra specificità della realtà locale e clima politico generale. Nell’aumento generale dell’astensionismo, è più motivato ad esprimere la propria posizione chi meno si riconosce nelle attuali forze di governo. Detto in altre parole, la debolezza della proposta politica del partito a cui si è più vicini è il fattore che agisce maggiormente sulla scelta di non andare a votare, mentre la forza della contrapposizione rispetto a chi oggi “comanda” è il fattore che agisce maggiormente sulla scelta di chi votare.
In questa occasione, Forza Italia e Lega nel mettersi assieme hanno prevalso come offerta alternativa al Pd rispetto al Movimento 5 Stelle, soprattutto nel guadagnare l’accesso al ballottaggio. Al secondo turno gli elettori grillini hanno in parte fatto crescere l’astensionismo e in parte fatto confluire il proprio voto in chiave anti-Pd.
A questo quadro hanno contribuito due elementi non trascurabili, il primo è il tema dell’immigrazione e il secondo è il ruolo delle nuove generazioni. Riguardo al primo punto, le forze politiche che gli esiti dei ballottaggi autorizzano a considerarsi vincenti di queste elezioni amministrative sono anche quelle più ostili agli stranieri. Non è certo un caso, essendo attualmente quello dell’immigrazione uno dei temi più sentiti, delicati, complessi e trattati con maggior dose di approssimazione e confusione nel dibattito politico. Complici giornali e trasmissioni televisive che arrivano a mettere nello stesso calderone due realtà molto diverse come gli sbarchi dei profughi e la legge sulla cittadinanza all’esame del Parlamento. La debolezza delle forze che sostengono la proposta dello ius soli temperato o ius culturae sta nel non aver comunicato in modo esteso ed efficace le ragioni di tale legge e le implicazioni che ne derivano. È lo stesso errore fatto con il Referendum costituzionale, contenente molti punti condivisibili, ma non pienamente compresi e apparsi imposti dall’alto. L’Italia rischia così di rimanere in mezzo al guado tra ciò che non può più essere e ciò che non riesce a diventare.
Tutto questo pesa in modo marcato sul fattore giovani. I dati dell’indagine di approfondimento del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo sull’orientamento politico delle nuove generazioni, raccolti a febbraio di quest’anno, sono molto coerenti con questo quadro. Vecchie appartenenze ideologiche e distinzioni tra destra e sinistra hanno poca presa, mentre conta di più il grado di apertura o chiusura verso i grandi cambiamenti. Oggi tutto nella vita dei giovani italiani è schiacciato in difesa, compreso il voto. Senza proposte catalizzanti e convincenti di apertura al nuovo – come è stato in varia misura per Obama e Macron – prevalgono l’astensione, il mettersi alla finestra, o il voto come espressione di insofferenza per un presente scadente o come timore di trovarsi vittime di un cambiamento malgestito. È così che minoranze allarmate pesano di più sul risultato complessivo.
Eppure le nuove generazioni possono essere le migliori alleate di chi propone di costruire, assieme a esse, un’Italia pienamente inserita nei percorsi di produzione di nuovo “benessere” nel XXI secolo, che non è solo legato alle vecchie “sicurezze” e al vecchio concetto di “ricchezza”, ma attualizza e umanizza le une e le altre in chiave di sostenibilità e di rispetto umano e ambientale. Uno spazio strategico che nessun partito o forza sociale oggi occupa in modo davvero credibile, convincente e coinvolgente.

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