C’è un mondo che ci aspetta dopo Covid-19. Ma più che chiederci cosa ci aspetta, chiediamoci noi come ci aspettiamo (e vogliamo) che sia. L’obiettivo comune non può, infatti, essere solo quello di uscire dall’emergenza, ma di entrare in un nuovo percorso di sviluppo coerente non solo con la protezione di vecchi e nuovi rischi, ma in grado di aprire nuove opportunità. Questo è l’auspicio soprattutto delle nuove generazioni. In un’indagine recente che ho coordinato per l’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo abbiamo sondato come gli under 35 italiani vivono e interpretano questa crisi.
E’ emersa una forte consapevolezza delle difficoltà presenti, una grande preoccupazione per i costi che le misure di contenimento producono nel paese e per l’impatto sul proprio percorso formativo e lavorativo. Ma anche una grande voglia di reagire positivamente, di guardare oltre sia alle sicurezze che ai limiti della normalità passata, assieme ad una maggiore propensione a contare su sé stessi e sugli altri, a far fronte ai cambiamenti e a riconoscere nuove opportunità.
Trovarsi in un momento di passaggio come questo non è certo una novità per l’umanità. La nostra specie è ripartita da epidemie ben più catastrofiche in passato, da eventi naturali devastanti, persino da guerre mondiali che l’Uomo si è autoinflitto.
Ci sono due elementi che può essere utile tener presente su come in passato l’Uomo ha affrontato prove ben più gravi di questa per poi alzare la basi da cui ripartire per costruire un futuro migliore. Il primo è che epidemie e guerre hanno spesso consentito a scienza e tecnologia di fare uno scatto in avanti. La presenza di rischi stimola la nostra specie a trovare nuove soluzioni per ridurre le conseguenze negative e farsi trovare meglio preparati in futuro. Una delle prime innovazioni contro la peste fu l’istituzione nelle principali città del medioevo di un sistema di registrazione dei decessi, attraverso il quale valutare se era in corso una crescita giornaliera anomala (indizio dell’arrivo del nemico invisibile). Non abbiamo, su questo punto, fatto grandi passi in avanti se ancor oggi riconosciamo la gravità di un’epidemia aspettando di vedere l’impatto sul numero dei morti. Un nuovo salto tecnologico è quindi oggi indispensabile nella direzione di sistemi esperti in grado di monitorare continuamente non tanto i decessi ma le condizioni di salute. Questo significa sviluppare dispositivi individuali in grado di tener sotto controllo alcuni parametri di base, con funzioni telemediche e in grado di ricostruire, per chi risulta positivo, la rete di contatti dei giorni precedenti.
La seconda lezione è sulla ripresa alla fine dell’emergenza. Dopo le grandi epidemie del passato si assisteva ad una impennata di vitalità, con forte aumento di matrimoni e nascite. Anche dopo la Seconda guerra mondiale ci fu l’inizio di una fase diversa della storia del paese che vide la spinta del boom economico e del baby boom. Questa ripresa di vitalità va attivamente favorita perché non è scontato che avvenga. Non si è vista, ad esempio, nessuna ripresa delle nascite dopo la crisi economica iniziata nel 2008, che invece ha lascito persistenti fragilità sulle nuove generazioni.
Sono convinto, però, che davanti ad una discontinuità come quella che si sta producendo conti più l’atteggiamento aperto verso il futuro che l’esperienza passata. Sia lo scatto in avanti tecnologico sia la ripresa di vitalità non possono realizzarsi se non spostando in avanti l’orizzonte di produzione di senso e valore delle nuove generazioni. Alle generazioni più mature il compito di metterle nelle migliori condizioni perché ciò avvenga, rendendole così protagoniste di un nuovo inizio per il Paese.