Se c’è una cosa che tutti vogliamo è essere felici. Nessuno ha però ben chiaro cosa sia veramente la felicità, come la si ottenga e come misurarne la quantità posseduta. La salute e il benessere materiale aiutano, ma non sono garanzia di felicità. Le fiabe sono piene di principesse giovani e belle ma tristi.
Il concetto è difficile da tradurre in modo operativo perché molto soggettivo e perché, per il suo forte impatto evocativo, il termine tende ad essere inflazionato. Esistono disparati indicatori proposti per misurare la felicità di un paese o di una città, che però hanno alla base più una riflessione su cosa la ricchezza economica non misura anziché su come la felicità possa essere misurata. Nel migliore dei casi si tratta quindi di indicatori di benessere che includono anche la dimensione non materiale e soggettiva.
Milano in questi ultimi cinque anni ha fatto molto per migliorare tali dimensioni e le posizioni guadagnate sugli indicatori di qualità della vita nelle città italiane sono un riconoscimento dei risultati ottenuti. Il bilancio di quanto fatto dall’amministrazione uscente è stato esposto sabato scorso dall’assessore Chiara Bisconti all’evento al Siam nel quale si sono discussi i temi principali del programma di Beppe Sala. Nel tavolo in cui è intervenuta la Bisconti, dedicato a benessere e conciliazione, è stata anche lanciata la proposta di un assessorato alla Felicità. Si può discutere se serva un assessorato specifico o se non sia meglio agire in modo trasversale su tutti gli assessorati, ma quello che si percepisce in modo crescente è che i milanesi sembrano prenderci gusto nel fare diventare la propria città un luogo di cui essere orgogliosi e nel quale si ha piacere vivere.
Se c’è però una categoria che ha visto ridursi la felicità negli ultimi anni – non solo in Italia ma anche in molti paesi avanzati – è quella dei ventenni e trentenni. Il “Rapporto giovani 2016” dell’Istituto Toniolo, in uscita in questi giorni, mostra come la felicità nella fase delle giovinezza sia sempre meno legata alla tipica condizione di spensieratezza e sempre più invece in strategica interazione con altre tre “f”, quella del fare, della fiducia e del futuro.
C’è inoltre una ulteriore “f” che rimane bloccata senza le precedenti ed è quella della fecondità. La decisione di avere un figlio è sempre più connessa alla conciliazione con il fare in ambito lavorativo, alla fiducia nel contesto sociale in cui si vive, alla visione del futuro. Avere un figlio deve essere una viva espressione di felicità e a sua volta deve diventare un successo per il benessere relazionale della famiglia e non aumentare il disagio economico. Il bonus una tantum non è forse la soluzione migliore, ma è certo un importante segnale positivo di attenzione.
Infine, nella felicità anche la “f” delle finanze familiari non va trascurata. Il programma sull’educazione finanziaria promosso dal Comune di Milano – come verrà raccontato stasera al “Forum sulle Politiche sociali” – ha mostrato, nella sua fase di sperimentazione, di generare un miglioramento non solo su consapevolezza e conoscenza nella gestione dei risparmi, ma anche sulla felicità stessa dei cittadini che diventano più fiduciosi nella possibilità di migliorare il proprio futuro.
Insomma, il vero programma per la Milano del 2020 è tenere tutte queste “f” felicemente assieme.