C’è un messaggio comune che arriva ai candidati sindaco dalle varie occasioni di confronto con i cittadini: la richiesta di una Milano in cui sia possibile fare di più e vivere meglio rispetto al passato e al resto del paese. Il desiderio è quello di sentirsi a tutti gli effetti parte di una città in grado di misurarsi con il futuro e con il resto del mondo. Su molti indicatori Milano sta sopra la media europea, ma ha le potenzialità per ambire, come tutti riconoscono, a raggiugere posizioni più elevate. Anche sull’occupazione femminile, nonostante la crisi, i dati rimangono incoraggianti staccandosi nettamente dalla disastrosa media nazionale. C’è però un tema rispetto al quale Milano fatica a distinguersi dal resto del paese. E’ quello della natalità.
Se c’è un rischio di crac dell’edificio demografico dell’Italia ciò vale anche, forse ancor più, per Milano. In linea con la media del paese il tasso di fecondità è poco sopra un figlio e un terzo per donna. L’età media alla maternità è invece più tardiva e raggiunge oramai i 35 anni per le cittadine italiane e i 31 per le straniere. Anche la fecondità delle straniere, pari a 1,8 nel 2014, è comunque scesa abbondantemente sotto la soglia di equilibrio generazionale, notoriamente pari a due. La sfida posta dalla conciliazione tra lavoro e famiglia è ancora più alta qui, perché il lavoro è molto intenso e la famiglia è in grande sofferenza. Si può star bene solo con il lavoro e con lo svago dopo il lavoro? A Milano più che altrove rischia di essere sacrificata una dimensione importante del benessere, quella più generativamente aperta al futuro.
Il problema della bassa natalità riemerge continuamente nel dibattito pubblico. Il Ministro Lorenzin ha recentemente usato toni apocalittici per richiamare la necessità di urgente e decisivo cambio di rotta. I dati sono in effetti molto preoccupanti. Siamo il paese in Europa che ha visto il maggior crollo di nati da madri sotto i 30 anni, ma ancor più bassi sono i valori a Milano. I dati di una indagine comparativa internazionale promossa dall’Istituto Toniolo mostra un confronto interessante con la Francia. Gli under 30 francesi e italiani presentano un numero ideale di figli superiore a due. Il valore scende sensibilmente, soprattutto per l’Italia, quando si chiede realisticamente quanti figli si pensa di riuscire ad avere. Ma il dato più interessante è il fatto che il numero di figli effettivamente realizzato in Francia è maggiore rispetto a quello realisticamente previsto, mentre in Italia è marcatamente inferiore. Questo significa che dove ci sono politiche continuative, efficaci e consistenti a favore dei progetti familiari e di conciliazione con il lavoro, si riesce a fare un figlio in più anziché uno in meno.
Il bonus bebè proposto dal Ministro alla Salute non è in grado di ridare slancio ai progetti delle giovani coppie. Sembra più una misura contro il rischio di povertà di chi ha figli a carico. Ma in tal caso sono più utili ed efficaci misure di inclusione attiva che impegnano i genitori a migliorare la propria condizione lavorativa e a indirizzare le spese all’effettivo benessere dei figli. Su questi temi Milano deve diventare, ancor più rispetto al passato e al resto del Paese, un luogo di esperienze positive, aperte al futuro e guardate con interesse anche da oltre confine.