Si sono spesi fiumi di inchiostro e fiato da riempirci mongolfiere, sui giovani che se ne vanno dall’Italia. Peccato che quell’inchiostro e quel fiato, in molti casi, siano troppo spesso spesi male. Per piangerci addosso, per maledire un Paese che non sa valorizzare i propri talenti, per puntare il dito contro chi – politici, imprenditori, insegnanti, genitori – quei talenti (nell’accezione più ampia) non è riuscito a valorizzarli. Nella retorica dei ”cervelli in fuga” è implicito il senso di una duplice sconfitta. Di chi se ne va, perché è stato costretto a farlo. Di chi l’ha lasciato partire, per i supposti costi mal investiti nell’educazione di chi parte.
È una retorica che non ci piace e che vogliamo decostruire, mattone dopo mattone. In primo luogo perché è depressiva. Soprattutto, però, perché è sbagliata. Basterebbe guardare la realtà senza farsi inquinare la vista dall’autocommiserazione per capire che non è così e che la retorica della “fuga” è limitativa rispetto alla portata e alle implicazioni dei grandi processi in atto nel mondo che vedono protagoniste le nuove generazioni.
Primo dato: oggi i giovani italiani hanno un’opportunità che nessuna generazione prima di loro ha mai potuto anche solo pensare di cogliere. Un mercato del lavoro globale e tutti gli strumenti culturali e sociali per poterlo abitare. In altre parole: se hanno un sogno, possono trasferirsi nel posto migliore per realizzarlo.
I giovani italiani hanno un’opportunità che nessuna generazione prima di loro ha mai potuto anche solo pensare di cogliere
Ovunque troveranno altri ragazzi che abitano il mondo, che leggono gli stessi loro libri e giornali, che guardano gli stessi film e le stesse serie televisive, che comunicano con gli stessi mezzi, che parlano la loro stessa lingua. Hanno a disposizione una rete di trasporti aerei che permette loro di muoversi in Europa e nel mondo con una facilità e una velocità inimmaginabili anche solo vent’anni fa. Hanno tutti gli strumenti per mantenere i contatti con genitori, parenti e amici che sono rimasti a casa o che sono anch’essi altrove, in giro per il mondo. Peraltro, non c’è – o meglio, non ci dovrebbe essere – soddisfazione più grande, per chi quei ragazzi li ha cresciuti ed educati, di vederli vincere le proprie sfide ovunque nel mondo.
Perché allora questo senso di frustrazione ogni volta che un italiano ha successo altrove? La risposta è semplice: perché nessun giovane straniero o quasi vuole fare il percorso inverso. Perché l’Italia, più che non essere un paese per giovani, non riesce ad essere un luogo in cui i sogni diventano realtà. Eppure ha tutte le potenzialità per tornare ad esserlo, non certo frenando l’uscita ma mettendosi in sintonia con i desideri, le opportunità e l’apertura al mondo delle nuove generazioni.
Lo spazio per colonizzare il mondo con il genio italiano è molto ampio ma richiede la capacità di fare da ponte sia che si rimanga nel territorio di origine, ma avendo maturato esperienze internazionali, sia che si decida di far base altrove, ma avendo sviluppato una consapevolezza delle potenzialità originali del nostro paese. Per agire con successo in questa direzione serve però un salto di qualità culturale nel modo di intendere la nostra presenza oltre i confini nazionali. E questa nuova idea di Italia in movimento, in forte discontinuità con gli schemi novecenteschi, ha bisogno di una nuova narrativa.
Da qui nasce l’idea di dedicare – con la fondamentale collaborazione di Italents – un intero canale de Linkiesta ai giovani expat italiani. Perché con le loro storie possano servire da stimolo per aiutare chi in Italia non trova sbocchi che il mondo è grande e le opportunità infinite. Perché possano scambiarsi opinioni, idee, esperienze, moltiplicando il loro bagaglio di conoscenza e il loro potenziale creativo.
Gli expat sono quell’Italia diffusa di cui il resto dell’Italia ha bisogno per riprogettare se stessa
Soprattutto, però, perché possono essere un fondamentale strumento per far sì che anche l’Italia possa diventare una terra dei sogni che si realizzano. D’accordo: noi abbiamo il buon cibo, il sole, il mare, la creatività, l’arte e la cultura. Uno a zero. Ma sono le loro esperienze, le loro storie, i loro «Wow!» di fronte al fermento culturale di Berlino, ai servizi di Copenhagen, all’efficienza di Londra, alla vita di Madrid i mattoni che ci mancano. Sono quell’Italia diffusa di cui il resto dell’Italia ha bisogno per riprogettare se stessa.
Se questo canale, questa piccola piazza virtuale, riuscirà nel suo piccolo a diventare un luogo di incontro, di riconoscimento e di rappresentazione di queste aspirazioni e di questa ricostruzione, ne saremo davvero felici.
Scritto in collaborazione con Francesco Cancellato