Dopo un lungo preambolo, durato due decenni, nel post Covid-19 entreremo pienamente nel XXI secolo? Di certo alcune cruciali questioni, a lungo dibattute, su come andar oltre i limiti del modello sociale e di sviluppo del Novecento, hanno ricevuto una improvvisa accelerazione. Le modalità per affrontare la pandemia e tener sotto controllo il rischio di nuove ondate e nuovi virus, fanno diventare ineludibili (sia in termini culturali che operativi), i temi della sicurezza, della privacy, della salute pubblica diffusa, della gestione del sommerso, del governo della mobilità internazionale, dell’ambiente, del ruolo delle nuove tecnologie, delle competenze digitali e delle modalità di apprendimento. Il come si studia, si lavora, ci si sposta sul territorio, si coopera e si fa vita sociale dovranno fare un salto di qualità, in una direzione però anche tutta da indicare e favorire con strumenti adeguati.
Il Governo sta preparando la transitoria fase 2, per poi entrare nella fase 3, quella del “ripristino delle attività lavorative e sociali”. Ma dire oggi ai cittadini italiani che dopo il 4 maggio si va verso il ripristino alla normalità è come invitare a tornare in un luogo che non esiste più come lo ricordavamo, che richiede codici di relazione e azione che il Covid ha disattivato e che vanno rinnovati. La nuova normalità non sarà certo una realtà in cui faremo tutto come prima con l’aggiunta di precauzioni e dispositivi di protezione individuale. Il topless con mascherina colorata sarà la foto simbolo dell’estate 2020? Avremo certo bisogno di rappresentazioni rassicuranti di una normalità diversa, ma ciò che conta è in cosa siamo disposti ad essere diversi e cosa saremo in grado di cambiare per consentire all’umanità che sta dietro alla maschera di vivere pienamente il nuovo secolo.
Bisogna quindi immaginare un mondo diverso, ma è anche vero che le soluzioni richieste erano già all’interno di qualsiasi percorso di produzione di nuovo benessere in grado di spingersi oltre il Novecento. Basti pensare all’utilizzo dei big data e delle nuove tecnologie, garantendo privacy e dando risposta alla domanda di sicurezza, salvaguardando diritti e partecipazione democratica. Restrizioni nelle relazioni e riduzione dei movimenti sono risposte alla sicurezza e all’incertezza ripescate dal secolo passato. Possono essere accettate nel presente solo se limitate all’emergenza, ma il futuro ha bisogno di nuove soluzioni in grado di combinare fiducia e consapevolezza con condivisione di dati e automazione.
Pensiamo al turismo, fattore di particolare rilievo per il nostro paese. L’Italia è uno degli stati più associati al termine pandemia nei mass media del mondo. Ma il timore di spostarsi, soprattutto per la popolazione più matura dei paesi ricchi, per affari e per piacere, riguarderà ogni parte del mondo. Il nostro paese – a partire da Milano e dalla Lombardia (poste al centro della crisi sanitaria mondiale) – avrebbe tutta la convenienza di investire sullo sviluppo e l’applicazione dei migliori standard delle condizioni di soggiorno negli hotel e di mobilità. Questo significa monitoraggio continuo – con sistemi esperti tecnologicamente avanzati – delle condizioni di salute dei residenti e di chi si sposta, attraverso dispositivi individuali che integrino l’autovalutazione su alcuni parametri e funzioni telemediche. Serve alla base la consapevolezza che una forte spinta allo sviluppo in tale direzione più che un costo è un investimento con ampie ricadute positive. Muoversi prima e meglio degli altri costituisce un vantaggio competitivo, ma è anche stimolo all’innovazione che fa leva sull’utilizzo del capitale umano delle nuove generazioni, oltre che promozione della salute pubblica. Del resto non abbiamo alternative: senza un rilancio di questo tipo rimarrebbe solo l’eredità negativa dell’epidemia che per l’Italia diventerebbe, con i suoi squilibri e le sue fragilità, un ulteriore carico fatale.
Viviamo un momento di grande difficoltà per l’Italia, come segnalano anche stime e previsioni sull’andamento del prodotto interno lordo, in un paese già caratterizzato da valori preoccupanti su due indicatori cruciali per uno sviluppo solido del paese: la persistente denatalità e il debito pubblico. Entrambi destinati a peggiorare fortemente con l’impatto della crisi sanitaria. Dobbiamo però soprattutto pensare a questa crisi come discontinuità, che consenta di far sentire il paese unito e consapevole della necessità di superare limiti di sviluppo e resistenze culturali del passato per iniziare una fase nuova. L’Italia era come la ben nota rana di Noam Chomsky. Finita all’interno di una pentola in cui l’acqua diventa lentamente sempre più calda, la rana non percepisce la gravità di una condizione che va progressivamente a peggiorare, diventa così via via più debole fino a trovarsi alla fine bollita. Questa crisi potrebbe essere per il nostro paese lo shock che serve per saltare fuori dalla pentola e riorientare positivamente la nostra rotta verso il futuro.
Per essere all’altezza dei tempi e della sfida servono certo misure di aiuto eccezionali alle imprese, che però si combinino con un rilancio in direzione coerente con i processi più avanzati (soprattutto quelli che combinano valorizzazione del capitale umano, innovazione tecnologica e sostenibilità). Ma se vogliamo che lo shock subìto segni davvero l’entrata in un’epoca nuova, dobbiamo anche formalizzare la discontinuità. L’avvio del Secondo dopoguerra fu fatto coincidere con la nascita della Repubblica italiana, con una nuova costituzione e con un allargamento delle basi democratiche del paese. Una spinta ideale analoga, dopo questo trauma che ha colpito tutti i paesi membri, la potrebbe dare solo un processo che, a partire dalla reazione comune all’emergenza, possa portare alla costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Tutto ci dice, dal quadro mondiale alle necessità e opportunità interne, che questo è il salto di qualità di cui avremmo effettivamente bisogno, non solo per affrontare la ricostruzione ma per dar spinta ideale e consistenza reale ad un nuovo percorso di crescita comune. Per riuscirci serve non solo la capacità di guardar oltre gli interessi dei singoli stati, ma anche una operazione culturale – possibile solo in un momento eccezionale – che consenta di fare una sintesi alta tra l’Europa della responsabilità e quella della solidarietà. Impresa molto difficile, quasi impossibile, ma l’alternativa è lasciar vincere il virus che ci vuole fermi e divisi.