Nessun paese in Europa presenta un tasso di fecondità sufficiente a garantire un equilibrio nel rapporto tra generazioni. Nel 2010 si avvicinavano a tale livello (attorno ai 2 figli per donna) Francia, Svezia e Irlanda. Nel 2019 – prima dei travagliati anni della pandemia e della guerra – tali paesi risultavano tutti scesi sotto. Il valore più alto alla fine del decennio scorso è rimasto comunque quello francese (pari a 1,87, con Svezia e Irlanda scese a 1,71). Anche Stati Uniti e Australia hanno avuto un andamento simile.
E’ evidente una chiara difficoltà dei paesi occidentali a mantenere livelli di fecondità vicini alla soglia di rimpiazzo generazionale. Risulta, tuttavia, riconoscibile un gruppo di paesi che meglio si avvicinano a tale obiettivo. Francia e Svezia sono i due casi più interessanti. Pur nella diversità dei due modelli di welfare, alla base c’è una continua attenzione alla conciliazione tra impegno lavorativo e responsabilità familiari. Il primo paese è stato, sinora, un esempio di solidità sulle politiche familiari, mentre il secondo è un esempio di laboratorio in continua sperimentazione. La Finlandia in questo quadro presenta un percorso particolare, con accentuata riduzione prima della crisi sanitaria, ma è anche il paese che meno ha ridotto la fecondità negli anni della pandemia e con più evidente inversione di tendenza dal 2020 in poi.
Un secondo gruppo è costituito dai paesi scesi molto sotto il livello di equilibrio generazionale ma poi risaliti. Vi rientra larga parte dell’Est Europa. L’esperienza di questi paesi mostra che le misure nell’immediato più efficaci sono quelle che danno un segnale concreto e diretto di forte sostegno economico alle famiglie. Ma per ottenere risultati che poi rimangono solidi nel tempo oltre alla leva economica serve un rafforzamento continuo degli strumenti di conciliazione, rendendo i servizi per l’infanzia un diritto per tutti e i congedi fruibili da entrambi i genitori.
Il caso della Germania – che, non solo geograficamente, si colloca in un punto intermedio tra Europa orientale e nord-occidentale – aggiunge un ulteriore elemento importante. Come conseguenza degli squilibri prodotti nel tempo dalla denatalità, la componente giovane-adulta è in marcata contrazione. Gli effetti migliori sulle nascite sono, pertanto, quelli che si ottengono combinando le politiche familiari con capacità di attrarre e gestire flussi migratori di persone in età lavorativa e riproduttiva. Nel decennio scorso la Germania è il paese che maggiormente ha agito su tali due leve e come conseguenza le nascite sono sensibilmente aumentate, mentre nei paesi dell’Est Europa sono state stabili o con variazioni limitate.
C’è, infine, un terzo gruppo, rappresentato dai paesi in cui la fecondità rimane persistentemente bassa. Vi rientrano i paesi dell’Europa mediterranea. Occupa qui un posto particolare l’Italia e ancor più le regioni meridionali. Come evidenzia anche il recente rapporto Istat “I DIVARI TERRITORIALI NEL PNRR: DIECI OBIETTIVI PER IL MEZZOGIORNO”, ritardi e squilibri stanno determinando una spirale di degiovanimento quantitativo e qualitativo tra le peggiori in Europa, che a sua volta vincola al ribasso le possibilità di sviluppo e benessere di tale area. Se non riusciamo urgentemente a rompere tale spirale non potremo dare la colpa alla carenza di risorse, ma all’incapacità di mettere in campo un piano di azione efficace in cui le trasformazioni demografiche e il capitale umano dei giovani sono strategicamente e concretamente posti al centro delle politiche di sviluppo.