Il mondo è sotto attacco. Che lo scenario che si è aperto con l’insorgenza e la diffusione di Covid-19 sia come quello di una guerra lo stanno da qualche giorno affermando molti esperti e rappresentanti delle istituzioni. Allo stesso modo, viene detto, dovremo pensare alla situazione che si dovrà affrontare alla fine dell’emergenza sanitaria come a un dopoguerra, con un modello sociale ed economico da ricostruire (o, meglio, nuovo da avviare).
L’Italia è attualmente il principale terreno di battaglia di questa guerra. Da oltre un mese – dalla notizia del primo contagio all’interno del Paese – il bollettino di guerra riporta ogni giorno notizie sempre più preoccupanti, a cui si è reagito in due direzioni diametralmente opposte. Da un lato si è forzato alla passività la grande maggioranza della popolazione, d’altro lato è stata accentuata l’attività di una stretta minoranza, quella posta in prima linea (in particolare, ma non solo, gli operatori sanitari e sociali).
Rispetto a questo approccio di fronteggiamento dell’emergenza due questioni decisive per l’esito finale rimangono aperte.
La prima è quella dell’equipaggiamento a disposizione di chi è mandato in prima linea. La seconda è il ruolo di chi è tenuto a distanza dal centro delle operazioni. Un elemento concreto che bene esprime l’intreccio tra le due questioni è quello dei dispositivi di protezione individuale. In particolare continua ad esserci nella popolazione una larga domanda di mascherine, da usare quando si esce per qualsiasi motivo (quantomeno per fare spesa). Ma la carenza di tale strumento è drammatica soprattutto per chi agisce in prima linea.
Abbiamo letto in questi giorni continui accorati appelli a rendere maggiormente disponibili presidi sanitari adeguati a medici, infermieri e operatori sociali, affinché possano svolgere la propria preziosa attività in modo più efficace, sicuro e sereno (per quanto possibile). Questo esercito che combatte per tutti noi a proprio rischio personale va messo nelle condizioni migliori di operare se vogliamo evitare il collasso delle strutture di assistenza e vincere la guerra contro il Covid-19.
Ci sono momenti decisivi in cui, lo sconforto nel veder dilagare il nemico, anche per una sottovalutazione della sua capacità di aggressione, porta a una reazione che può diventare la svolta nelle vicende del conflitto. E’ quello che accadde nella Seconda guerra mondiale con l’operazione Dynamo.
Nella fase di maggior successo dell’esercito nemico, con rischio di perdere una parte cruciale delle forze Alleate, si riuscì a realizzare il “miracolo di Dunkerque”. Non c’erano navi militari sufficienti per recuperare urgentemente, prima dell’attacco finale delle unità corazzate tedesche, le truppe bloccate sulla costa al confine tra Francia e Belgio. Quello che sta alla base del successo dell’operazione Dynamo fu, allora, la capacità di mobilitare tutte le risorse disponibili, coinvolgendo non solo la marina britannica ma anche qualsiasi imbarcazione privata in grado di attraversare la Manica.
La risposta fu incredibile: il tratto da Dunkerque a Dover si riempì di navi e barche di tutti i tipi. Molte di esse erano in grado di far salire solo pochi soldati, ma tutte assieme salvarono gran parte dell’esercito bloccato (il quale, rafforzato e riorganizzato, contribuì poi al successo finale della Guerra mondiale). Ma rilevante fu anche l’effetto psicologico di tale operazione, che fece capire, nel momento di maggiore difficoltà delle forze armate, che tutto un Paese era attivo a supporto della lotta contro il nemico e che non era per nulla deciso a rassegnarsi.
E’ con tale spirito che va oggi affrontata, nella guerra contro il Covid-19, l’operazione che va a colmare la carenza drammatica di mascherine, mobilitando tutta la capacità di produzione del Paese. Il Governo, con il decreto Cura Italia, ha previsto modalità e incentivi “per sostenere le aziende italiane che vogliono ampliare o riconvertire la propria attività per produrre ventilatori, mascherine, occhiali, camici e tute di sicurezza”.
E’ importante ora capire come, attraverso Invitalia, tale operazione verrà attuata. L’operazione Dynamo mostra che per avere successo e diventare una vera svolta (oggettiva e psicologica) è importante favorire una partecipazione diffusa dal basso, in modo che tutti coloro che possono concretamente dare un contributo a tale produzione possano farlo, andando oltre stretti vincoli burocratici. Dobbiamo considerarci in regime di guerra, il che richiede misure eccezionali, in grado però di dare risposte sistemiche. E non è solo una questione di mascherine, ma di un Paese che deve sentirsi unito e attivo nell’affrontare e vincere una sfida comune. Uno spirito che ci può aiutare, poi, anche a mettere le premesse giuste per la fase di ricostruzione.