Coronavirus, ultima occasione di una politica per le famiglie

Gli studi Istat confermano le preoccupazioni sulla possibilità che i già accentuati squilibri demografici italiani subiscano una accelerazione

Tutti auspichiamo di poter tra qualche anno ricordare l’epidemia di Covid-19 come una discontinuità che ha permesso al paese di mettere in discussione ciò che non funzionava e dare slancio ad una crescita solida su basi nuove. Dobbiamo, però, aver oggi ben chiara la consapevolezza che non è per nulla scontato che ciò avvenga e che non c’è nessun automatismo che spinga in tale direzione. Sarà possibile riuscirci solo con idee chiare su quale Italia vogliamo e possiamo essere, agendo con grande determinazione sulle potenzialità del sistema paese, sulle risorse da indirizzare, sulle capacità da valorizzare, sui desideri e le energie da mobilitare. Senza una forte volontà di riorganizzare e riorientare il processo di sviluppo, il rischio è quel-lo di passare dall’emergenza sanitaria ad un intreccio ingestibile di emergenza economica e demografica.

Per evitare tale scenario, la stella polare è quella delle politiche che favoriscono le scelte di impegno positivo dei cittadini verso il futuro. Tali scelte tendono, inoltre, a legarsi e influenzarsi virtuosamente. Se i giovani sono messi nelle condizioni di essere ben preparati e inseriti nel mondo del lavoro saranno portati anche a formare più facilmente una propria famiglia. L’allargamento della famiglia diventa poi spinta a impegnarsi di più per rafforzare la propria posizione lavorativa e investire sulle opportunità di crescita dei figli. Allo stesso modo, dopo la nascita del primogenito, la presenza di adeguati strumenti di conciliazione consente sia di non rinunciare alla continuità dell’occupazione femminile sia, eventualmente, di rilanciare verso un secondogenito e oltre.

Purtroppo da molto tempo l’Italia non riesce ad investire efficacemente nel sostegno a questa intraprendenza, producendo non solo rinunce sofferte sui singoli ma depotenziando anche il loro ruolo nei processi di crescita e produzione di benessere collettivo. In particolare, sulla decisione di avere un figlio pesano le condizioni oggettive presenti, soprattutto sul versante dell’occupazione e del reddito, ma anche il clima sociale e di incertezza verso il futuro personale e del Paese in generale.
In questo quadro le simulazioni fornite dall’Istat nella nota “Scenari sugli effetti demografici di Covid-19: il fronte della natalità” confermano le preoccupazioni sulla possibilità che i già accentuati squilibri demografici italiani subiscano una accelerazione.

Prima della recessione iniziata nel 2008 le proiezioni Istat non prevedevano una riduzione delle nascite annue sotto le 500 mila, quantomeno fino all’orizzonte del 2050. Ed invece l’impatto fu tale da portarci sotto tale soglia già nel 2015, per poi scendere ancor più negli anni successivi. La nota Istat ci avvisa ora che se non si inter-viene con politiche adeguate – in grado di migliorare la condizione occupazionale delle nuove generazioni e le possibilità di conciliazione tra lavoro e famiglia – nel 2021 potremmo scendere sotto i 400 mila nati.

Il fatto che la fase 2 sia iniziata soprattutto riattivando l’occupazione maschile over 50 stava nell’ordine delle cose, conseguenza dell’inerzia prodotta dal mondo pre-covid. Ma a partire da ora la differenza la farà ciò che di nuovo metteremo in campo per comporre l’infrastruttura del paese che vogliamo diventare. E le dinamiche della natalità – per la forte sensibilità di tale indicatore con il clima di fiducia del paese, con le condizioni oggettive del mondo del lavoro, con la qualità dei servizi, con la sostenibilità sociale – andranno guardate con attenzione perché ci aiuteranno a capire se e quanto stiamo andando fuori rotta.

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