Alla base del mondo che cambia c’è il rinnovo generazionale. I meccanismi e le modalità di tale rinnovo hanno però, ancor più, ricadute cruciali sulla capacità di produrre benessere e sviluppo nelle società mature avanzate.
Per lunga parte della storia dell’umanità l’avvicendarsi delle generazioni è avvenuto in modo del tutto naturale ma anche molto dispersivo, con elevati rischi di morte compensati da un’elevata fecondità. Se nel passato la questione del ricambio generazionale non era esplicitamente posta, ancor meno lo è stata nella fase centrale della transizione demografica. In tale fase, la riduzione della mortalità precoce, in combinazione con numero di figli ancora superiore a due, ha anzi rafforzato la presenza delle nuove generazioni sia nella società che nell’economia.
Solo verso la fine degli anni Settanta la fecondità italiana è scesa sotto la soglia di equilibrio nel rapporto tra generazioni, ovvero sotto i due figli. E’ precipitata poi sotto 1,5 verso la metà degli anni Ottanta. Questo significa che il rinnovo generazionale debole è un fenomeno molto recente, che inizia a fare sentire i suoi effetti quando le generazioni nate dalla fine degli anni Ottanta in poi fanno il loro ingresso nella vita adulta. Ciò è avvenuto in concomitanza con profondi cambiamenti qualitativi che hanno complicato l’entrata stabile nel mercato del lavoro, da un lato, e con l’impatto negativo della Grande recessione, dall’altro. Le difficoltà specifiche incontrate nella transizione scuola-lavoro e di conciliazione tra vita e lavoro, trovano riscontro nel fatto che poco prima dell’impatto di una nuova crisi, causata dalla pandemia di Covid-19, il nostro paese si trovava a presentare livelli tra i più alti in Europa di Neet (under 35 che non studiano e non lavorano) e più bassi di occupazione femminile. Con conseguenti freni anche all’autonomia giovanile, alla formazione di nuove unioni, alla natalità.
Negli anni Dieci di questo secolo il centro della vita attiva del paese era ancora solidamente presidiato, in ogni caso, dalle generazioni demograficamente consistente dei primi tre decenni del secondo dopoguerra. Le ricadute maggiori del rinnovo generazionale debole nel mondo del lavoro sono, quindi, destinate a farsi sentire soprattutto nei prossimi decenni. Per farsene un’idea proviamo a confrontare il percorso di due diverse coorti: chi oggi ha 57 anni e chi ne ha 27. La prima generazione, nata nel 1965 quanto la natalità era ancora elevata, conta quasi un milione di persone. Ha svolto la parte centrale della sua vita attiva con un tasso di dipendenza degli anziani – indicatore che misura gli squilibri strutturali nel rapporto tra generazioni in età lavorativa e in età da pensione – inferiore al 35 percento.
La consistenza demografica di chi ha 27 anni, ovvero i nati nel 1995, è drasticamente più bassa, sotto le 600 mila unità. Tale coorte avrà 37 anni nel 2032, 47 anni nel 2042, 57 nel 2052. Vivrà la fase centrale della sua vita attiva in un paese in cui il tasso di dipendenza degli anziani in tali tre punti temporali salirà (secondo lo scenario mediano Istat) al 47%, poi al 62%, e infine al 66%.
Per arricchire il quadro va notato che mentre tutte le età nella fascia matura e anziana hanno sinora avuto una consistenza numerica inferiore rispetto a chi era in età lavorativa, questo requisito di stabilità strutturale verrà perso. Tanto per fare un esempio, gli attuali 77enni sono circa 500 mila e nessuna età tra i 15 e i 64 anni presenta valori inferiori. Nel 2042 saliranno però oltre 820 mila diventando dominanti su tutte le età sotto i 65 anni. Nel 2052 i 77 anni saranno addirittura, in assoluto, l’età più popolosa del Paese.
Questo significa che chi ha meno di 35 anni oggi farà l’inedita e complicata esperienza di vedere evolvere la propria vita lavorativa e professionale in un paese in cui le età con peso demografico più rilevante si troveranno nella fascia anziana. Avrà il compito di far crescere dal punto di vista economico e rendere sostenibile come spesa sociale, un paese con alto debito pubblico e accentuati squilibri strutturali, dovendo anche pensare al proprio futuro previdenziale.
Potrà giocarsi la possibilità di riuscirci solo se il sistema Italia saprà rispondere all’indebolimento del rinnovo generazionale nel mercato del lavoro – anche sulla spinta delle riforme previste nel PNRR – con un effettivo potenziamento qualitativo dei percorsi professionali (maschili e femminili) a partire dalla età più giovani e lungo tutto il corso di vita.