L’evento più atteso e discusso degli ultimi anni sta per iniziare. Secondo Giuseppe Sala, commissario unico di Expo 2015, il primo maggio troveremo tutti i padiglioni pronti. Se non fosse così sarebbe spiacevole ma non grave. Più che l’inizio conterà la fine. Sarebbe forse saggio e utile, allora, sospendere per sei mesi critiche e polemiche per soffiare tutti nella stessa direzione. Il primo novembre poi si potranno tirare le somme e le critiche in quel caso saranno utili per capire cosa ha funzionato e cosa no, per valutare come migliorare la progettazione e la realizzazione di eventi futuri.
E’ evidente a tutti che Milano meritava, o quantomeno si auspicava, un’altra Expo, capace di coinvolgere meglio e di più le sue realtà più dinamiche, meno esposta ai rischi di corruzione e ai poteri predatori, più in grado di coinvolgere e valorizzare le nuove generazioni ad ogni livello, non solo come spettatori passivi o manodopera a basso costo. E’ ampiamente condivisa, insomma, la convinzione che Expo si poteva e doveva fare meglio. Ma è anche vero che, come molti sondaggi indicano, la maggioranza della popolazione pensa che sia una di quelle sfide con cui valga comunque la pena misurarsi.
Su questo evento si possono trovare ricerche e analisi che forniscono stime eccessivamente ottimistiche e altre, all’opposto, che stroncano in modo sprezzante anche solamente aver pensato di fare l’Esposizione universale. Il dibattito pubblico è oscillato tra “un nuovo paradigma per l’esistenza nel mondo” e la “ubriacatura collettiva”. Verosimilmente non sarà né l’uno né l’altro ed entrambe queste posizioni non hanno certo aiutato a prepararsi al meglio.
Preso atto che Expo non sarà la soluzione di tutti i mali di Milano, le accuse maggiori riguardano i ben noti ritardi, gli episodi di corruzione, le stime azzardate del ritorno economico. Expo è una sfida alta e complessa, difficile non solo da organizzare e gestire ma ancor più stimarne le potenziali ricadute e le implicazioni dirette e indirette nei molteplici ambiti. Ad esempio è difficile valutare quanto Expo sia in grado di essere acceleratore di alcuni processi comunque in atto ma che grazie alle risorse e alle energie messe in circolo con questo evento hanno trovato la spinta giusta per emergere o consolidarsi. Ha sicuramente prodotto un’azione di stimolo sulle startup e più in generale ha attivato una intraprendenza dal basso mai vista prima, di idee e iniziative sul territorio collegate ai temi dell’alimentazione, dell’energia, della green economy e di tutto quello che ci gira attorno. Uno spontaneismo che in un contesto di questo tipo ha più facilmente potuto trovare attenzione e sostegno da parte delle istituzioni. In particolare le Camere di Commercio hanno avuto, assieme ad altri, un ruolo di rilievo nell’assecondare il vento a favore dell’intraprendenza giovanile. Certamente Expo si sta rivelando un laboratorio interessante di sperimentazione della sharing economy, come conferma anche il successo dell’iniziativa dell’assessore Tajani di costituire una rete permanente di operatori ed esperti sul tema.
Nessuno dava per vincenti gli azzurri ai mondiali del 1982, travolti da scandali e polemiche sui giornali. Bearzot innovò introducendo per la prima volta il silenzio stampa. Zero polemiche e tutti concentrati sul fare, in attesa di tirare le somme alla fine. Anche Expo oggi avrebbe forse bisogno di una innovazione analoga.