Uno dei principali nodi del nostro paese è la difficoltà a far stare positivamente assieme la scelta di avere un figlio con quella di un lavoro. Favorire la possibilità di realizzare tali due obiettivi ha ricadute positive per tutti: dovrebbe quindi essere considerata una priorità per un paese che vuole crescere e migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini. Passare dalla competizione alla conciliazione tra lavoro e famiglia è stato uno dei punti di svolta principali delle società moderne avanzate. I paesi sviluppati che più hanno investito in tale direzione presentano oggi una fecondità più elevata e una maggior presenza femminile nel mercato del lavoro. Si trovano di conseguenza con un invecchiamento della popolazione meno accentuato, una crescita economia più solida, un sistema sociale più sostenibile, maggior entrate nelle famiglia e quindi anche minore povertà infantile. Se l’Italia mostra una condizione più problematica su tutti questi ultimi aspetti, nel confronto con il resto del mondo avanzato, è perché abbiamo a lungo pensato che le misure di conciliazione fossero un costo su cui risparmiare, anziché un investimento ad alto rendimento in termini di benessere sociale e crescita economica. Ci troviamo quindi ora con un numero di nascite sceso ai livelli più bassi di sempre e una occupazione femminile bloccata su valori tra i più imbarazzanti in Europa. Non è certo questo l’esito di politiche intelligenti.
Una conferma dell’opportunità e dell’importanza di sostenere una relazione positiva tra economia e demografia, che passa attraverso il sostegno alle scelte delle donne, arriva anche dalle dinamiche interne al territorio italiano. A partire dalla metà degli anni Novanta si è assistito ad una crescita della fecondità nel nostro paese, al netto delle nascite straniere, concentrata però solo nelle regioni del Nord dove maggiore è sia occupazione femminile sia la presenza di servizi per l’infanzia. Le regioni del Sud sono invece passate dall’essere una delle aree più prolifiche d’Europa a una delle più depresse, scivolando così in un circuito vizioso di bassa crescita economica, welfare carente e invecchiamento incalzante. Dopo aver dimostrato che un percorso positivo può essere intrapreso anche le regioni settentrionali si sono però bloccate, a causa della crisi economica. Dal 2011 tutta l’Italia è, infatti, in triste ribasso su lavoro e figli. Proprio quando era necessario potenziare gli aiuti necessari a mantenere il lavoro e a fare scelte incoraggianti verso il futuro, l’aiuto del welfare pubblico si è fatto ancora più debole per i tagli agli Enti locali. La cronica carenza di asili nido ha portato chi aveva un lavoro a non rischiare di metterlo a repentaglio con l’arrivo di un figlio. Anche dove c’erano servizi di qualità, molte giovani coppie con lavoro incerto e remunerazioni basse hanno trovato difficoltà ad affrontare i costi della retta chiedendo maggiormente aiuto di accudimento ai nonni. La bassa copertura, i costi e le rigidità di orario si fanno ancor più sentire oggi che in passato per il fatto che le condizioni economiche delle nuove generazioni sono diventate meno solide, con l’aggiunta di tempi di lavoro meno standard. Sono inoltre cresciute flessibilità e mobilità lavorativa: molti giovani si spostano per necessità e opportunità lavoro allontanandosi così dal raggio di azione del supporto dei nonni. Si può poi aggiungere che un crescente numero di giovani donne qualificate e intraprendenti cerca di mettersi in gioco con una propria idea imprenditoriale. Nelle prime fasi il ritorno economico per le giovani imprenditrici è basso e incerto, ma con l’arrivo di un figlio tutto si complica e si rischia così di interrompere una attività che avrebbe potuto evolvere in modo promettente.
Le misure di conciliazione costituiscono l’esempio più evidente di welfare attivante e abilitante. Un welfare che è investimento sociale perché consente ai cittadini di star meglio e fare di più. Un incoraggiamento ancor più importate per le categorie più svantaggiate, nelle fasi della vita di maggior incertezza, nei periodi storici di recessione. Se vogliamo generare benessere inclusivo è soprattutto qui che dobbiamo dimostrare di sapere realizzare politiche efficienti.