Capita spesso di leggere sui giornali o sentire nei dibattiti televisivi che il lavoro se uno lo cerca bene e si adatta lo trova. Se quindi molti giovani sono disoccupati è soprattutto colpa loro che non si rimboccano le maniche quanto serve. Come spesso accade la realtà è un po’ più complessa rispetto agli stereotipi di cui è piena l’opinione pubblica. Sono vari i motivi della presenza di opportunità di lavoro che faticano a trovare manodopera adeguata in un contesto di alta disoccupazione giovanile. Ne elenchiamo quattro, ben intrecciati tra di loro. Il primo è legato al fatto che molte aziende non utilizzano modalità e contenuti adeguati nel pubblicizzare l’offerta rispetto al target specifico di interesse. Il secondo è da ricondurre alla carenza di solidi canali istituzionali di incontro tra domanda e offerta, tanto che la larga maggioranza delle persone continua a trovare lavoro attraverso la rete parentale e amicale. Il terzo fattore è di tipo culturale.
Negli altri paesi i giovani sono spinti a diventare consapevoli e intraprendenti rispetto alla progettazione del proprio futuro già attorno ai 16 anni. I ragazzi italiani rimangono invece più a lungo in un mondo a parte, iperprotetto dalle famiglie, per poi scontrarsi di colpo con la dura realtà quando concludono gli studi. Infine, mancano spesso adeguata formazione ed esperienza per poter cogliere concretamente alcune opportunità disponibili sul mercato.
In Italia esiste infatti un ampio divario tra competenze formate e richieste, inoltre basso è il numero di studenti che partecipano a qualche tipo di work‑based learning. Come effetto di tutto questo è in aumento di ragazzi che pensano che studiare sia inutile, ma è in crescita anche il numero di coloro che cercano di fare scelte formative più pragmatiche e meglio orientate all’effettivo inserimento nel mondo del lavoro. Va comunque riconosciuto che negli ultimi anni il sistema educativo italiano ha arricchito l’offerta secondaria e terziaria non accademica, in particolare con gli Istituti Tecnici Superiori (Its). Nonostante i risultati siano incoraggianti, in termini sia formativi che occupazionali, questa offerta rimane però attualmente molto al di sotto delle sue potenzialità, anche per resistenze culturali e non adeguata conoscenza da parte delle famiglie.
Qualcosa però forse sta cambiando. I segnali positivi, quantomeno nel contesto lombardo, continuano a crescere. I più convincenti sono quelli che combinano innovazione tecnica, apertura internazionale e made in Italy. Un esempio interessante è il Polo formativo del Legno Arredo, promosso dalle aziende del distretto brianzolo con l’obiettivo di formare non solo operatori del legno ma anche “export manager” – attraverso uno specifico Its – in grado di valorizzare i prodotti italiani nel mondo. Che questa sia una delle formule su cui puntare lo ha ribadito il sottosegretario Toccafondi che nella sua recente visita al Polo ha anche sottolineato come i finanziamenti sui percorso tecnico-superiori saranno sempre meno distribuiti a pioggia e più indirizzati verso le realtà più efficaci nel favorire l’inserimento lavorativo.
Se vogliamo che sempre meno giovani si perdano nella transizione scuola lavoro e siano invece attivi nei settori più promettenti, percorsi di questo tipo vanno moltiplicati e aiutati ad avere successo.