Il successo di una azienda, prima ancora che dalla dotazione di nuove tecnologie, dipenderà nei prossimi decenni dalla capacità di lungimirante gestione della propria forza lavoro. Questa convinzione, in combinazione con il processo di invecchiamento, ha fatto crescere negli ultimi anni l’attenzione verso l’«age management», inteso come insieme coerente di risposte che le organizzazioni possono dare per migliorare il contributo professionale dei singoli a tutte le età, comprese quelle più mature. L’Italia, come mostrano varie ricerche, è però in colpevole ritardo nell’affrontare concretamente questa cruciale sfida, non solo per la recessione che ha spostato l’attenzione delle imprese sul presente con approccio difensivo, ma per motivi anche strutturali di lungo periodo e culturali radicati. Non c’è dubbio però che le realtà che prima inizieranno ad agire positivamente in questa direzione, si troveranno nei prossimi anni con un vantaggio competitivo sulle altre.
Topic: welfare e innovazione sociale
Nel welfare la carenza di risorse non è affatto un alibi. Bisogna organizzarsi
Senza evocare profezie su conflitti tra generazioni, fare welfare in carenza di risorse richiede alcune scelte. La prima possibilità è quella di restituire ai singoli le proprie responsabilità, arretrando le protezioni sociali offerte nel secolo del progresso. In questa direzione sembra muoversi il Giappone, dove si sta immaginando la fine delle pensioni di vecchiaia e si chiede ai giovani di concentrare i propri studi universitari su scienza, tecnologia e matematica, ma anche l’Inghilterra, che consente ai pensionandi di ritirare i propri contributi previdenziali per farne l’uso che ritengono più utile. Che cosa accadrà se di questi contributi viene fatto un cattivo uso, o per dirla più semplicemente, se ci saranno molte persone che sopravvivranno al proprio reddito?
Dalla crisi al welfare perché non siamo più un Paese per bambini
I giovani che rimangono a vivere con i genitori
Difficilmente le nascite in Italia potranno tornare ad aumentare in modo solido se i progetti di vita della nuove generazioni continueranno a rimanere bloccati o se l’unico modo per realizzarli è andare all’estero. Davanti alle difficoltà e alle inefficienze del mercato del lavoro italiano – inasprite dalla crisi e da scelte pubbliche più attente al welfare delle generazioni anziane – i giovani italiani si sono in larga misura trincerati in difesa.
Il mondo sulle spalle dei 50enni. “Aiutiamoli a lavorare meglio”
Su Repubblica ampio estratto dal libro “Il futuro che (non) c’è. Costruire un domani migliore con la demografia”.
Stiamo vivendo un passaggio unico nella storia dell’umanità verso una società matura, in cui quelli che in passato venivano considerati anziani (gli over 65) saranno sistematicamente più dei giovani (gli under 25). L’Italia è uno dei paesi che per primi vedranno realizzarsi, già nei prossimi anni, tale sorpasso. Mentre infatti gli under 25, anche come conseguenza della denatalità, si sono attestati su una numerosità attorno ai 14 milioni e continueranno nei prossimi decenni a rimanere sotto tale livello, gli over 65 hanno superato recentemente i 13 milioni e cresceranno fin a superare i 20 milioni entro il 2050.
Ma anche all’interno dell’età attiva si sta producendo un cambiamento strutturale di grande rilievo. Nei prossimi anni vedremo ridursi in maniera consistente la popolazione nella fascia pivotale, quella che attualmente presenta maggiore occupabilità e produttività (in età 35-44 anni). Per converso, invece, aumenterà in maniera rilevante la fascia 55-64 anni che è quella che attualmente riusciamo a valorizzare meno all’interno del mercato del lavoro e che diventa quindi la sfida principale da porsi.
Un paese in debito verso il futuro
Un paese in cui si fanno sempre meno figli e li si grava di crescenti costi, a quale futuro va incontro? Purtroppo l’Italia è una delle economie avanzate più vicine a questa situazione. Una rappresentazione chiara di come non riusciamo a trovare, oramai da troppi decenni, la strada di uno sviluppo virtuoso può essere fornita dall’andamento straordinariamente speculare di due indicatori apparentemente molto diversi: il debito pubblico e alla fecondità.