Topic: ulteriori temi demografici

Consigli non richiesti a chi vuole governare per fare ripartire economia, welfare e demografia. 

L’Italia è stata uno dei paesi maggiormente in grado di costruire, nei primi decenni del secondo Dopoguerra, condizioni di benessere per larga parte della popolazione partendo da povertà diffusa. La parte maggiore di questo salto l’abbiamo compiuta durante gli anni Cinquanta e Sessanta (e qualche pezzo degli anni Quaranta e Settanta), quelli appunto del boom economico e del baby boom. Si è trattato di un periodo così felice che quando ci si riferisce a esso si usano termini entusiastici quali “boom” e “miracolo economico”. Viene anche usata l’espressione “Trenta gloriosi” per indicare il positivo circolo virtuoso innescato, dal 1945 al 1973 tra economia, welfare e demografia. In tale periodo vengono messe solide basi del nostro benessere che però, dagli anni Ottanta in poi, anziché rinnovare abbiamo eroso: la crescita è diventata stentata, il welfare è entrato in crisi, la demografia è diventata negativa.

Nuove competenze per più sviluppo

Le elezioni politiche dovrebbero costituire un’occasione preziosa di riflessione e confronto sul progetto di Paese che vogliamo realizzare, non esaurirsi in un elenco di promesse finalizzate a massimizzare il consenso immediato. Il dibattito aperto dall’articolo di Calenda e Bentivogli su questo giornale ha il pregio di alzare lo sguardo comune oltre l’interesse di chi vincerà le elezioni del 4 marzo, per definire una strategia in grado di rendere vincente la risposta del nostro Paese alle grandi sfide di questo secolo. Perché tale strategia sia vincente è necessario prima di tutto che sia avvincente (coinvolgente e appassionante) nei confronti delle nuove generazioni. Non c’è alcuna possibilità di costruire un futuro migliore senza mettere in relazione virtuosa le opportunità del mondo che cambia, le specificità (culturali e strutturali) del territorio, le potenzialità e le sensibilità delle nuove generazioni. Ignorare anche uno solo di questi tre elementi porta ad un fallimento certo nel medio-lungo periodo.

Ius soli, un libro svela i falsi miti sulla riforma della cittadinanza

IL DISEGNO di legge che propone una revisione dei criteri di acquisizione della cittadinanza ha un principale ostinato avversario: la disinformazione. Il cosiddetto “Ddl Ius Soli” (“Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre disposizioni in materia di cittadinanza”) dopo esser partito due anni fa con una larga maggioranza alla Camera, ha trovato successivamente un percorso irto di crescenti ostacoli.

· GLI OSTACOLI ALLA LEGGE
Questo indebolimento del processo di approvazione può essere imputato sostanzialmente a due ordini di motivi. Il primo ha in parte alla base le stesse cause del fallimento del Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, ovvero la mancanza di un dibattito pubblico che precede le proposte, ne chiarisce termini e obiettivi, favorisce informazione, consapevolezza e partecipazione alle decisioni pubbliche sul futuro del paese. Le “proposte-imposte” (dall’alto) non funzionano più, su tutto l’elettorato e tantomeno sulle nuove generazioni. La combinazione tra complessità dei cambiamenti, bassa fiducia nelle istituzioni, in un clima sociale ed economico problematico, espone i cittadini a reazioni di chiusura e diffidenza, facilmente cavalcabili dalle forze di opposizione.

Il secondo ordine di motivi risiede nel crescente contesto di ostilità nei confronti dell’immigrazione, in tutta Europa, alimentato dall’ondata di rifugiati e dagli attentati terroristici. La proposta di riforma della cittadinanza è così scivolata all’interno di un ingranaggio perverso che ha tritolato le reali ragioni e l’ha resa ostaggio della battaglia politico-elettorale.

· L’EBOOK (QUI LA VERSIONE INTEGRALE)
L’ebook prodotto da Neodemos, presentato al Senato, ha come obiettivo quello di cercare di riportare il dibattitto fuori dallo scontro elettorale ed inserire la proposta all’interno della lettura delle trasformazioni demografiche del Paese e delle scelte per rafforzare la qualità del futuro comune. Il dossier contiene vari contributi di studiosi con posizioni diverse, ma fornisce nel complesso una risposta ad almeno cinque false convinzioni su obiettivi, contenuti e implicazioni della legge proposta. Proviamo a riassumerle rinviando poi all’ebook stesso i lettori interessati ad approfondire.

· DISSIPARE I DUBBI
La proposta di legge porta ad un aumento dell’immigrazione nel nostro Paese? Non c’è nessun motivo per pensarlo. Attualmente chi nasce in Italia deve aspettare il diciottesimo compleanno, con una procedura tra l’altro farraginosa, per poter chiedere la cittadinanza. Quello che la riforma propone è, per chi è residente qui fin dalla nascita, di poter anticipare l’acquisizione in età più giovane, in una fase in cui stiamo investendo sulla formazione del suo capitale umano all’interno delle nostre scuole. Al di là dell’emergenza profughi va considerato che il numero di residenti stranieri, nascite comprese, ha visto frenare la propria crescita negli ultimi anni. L’incidenza sulla popolazione totale italiana è ferma poco sopra l’8 percento e la fecondità è scesa sotto i due figli per donna.

La riforma assegna la cittadinanza in modo automatico? Questa falsa convinzione è forse dovuta anche all’improprio nome di “Ius soli” dato alla proposta di legge. Gli Stati Uniti sono un esempio effettivo di “ius soli”, ovvero di cittadinanza che si ottiene nascendo sul suolo del Paese. La riforma di cui si discute invece non ha nulla di automatico. Per chi nasce in Italia è richiesto che i genitori possiedano un permesso di lunga durata: quindi regolari e stabilizzati da almeno 5 anni (secondo l’Istat sono 416 mila i minori stranieri non UE nati in Italia con un genitore avente permesso di lunga durata). Per chi non rientra in tale casistica l’acquisizione può avvenire attraverso lo ius culturae (o meglio ius scholae), ovvero condizionatamente ad un percorso formativo che consenta una buona conoscenza della lingua italiana, della cultura, della storia, delle istituzioni (una platea di circa 80 mila ragazzi come precisato nel dossier).

Ma è possibile una effettiva integrazione dei figli degli immigrati? Nel dibattito pubblico è presente anche la posizione di chi pensa che con la cittadinanza si aprirebbero le porte a giovani fortemente condizionati da valori del contesto familiare poco compatibili con quelli occidentali. Secondo questa posizione alcune tipologie di figli di immigrati non sarebbero integrabili. In realtà, come molti studi dimostrano, la grande maggioranza di tali giovani, soprattutto se qui fin dalla nascita o in età molto giovane, tende a sentirsi italiana o a sviluppare una appartenenza multipla positivamente a cavallo tra le due culture e che tende a convergere verso la cultura del paese in cui si vive. Per gli altri, l’adozione dei valori del paese ospitante è un percorso legato anche alle possibilità di inclusione e allo sviluppo del senso di appartenenza. Dato che si tratta di giovani che sono già nelle nostre scuole perché dare per scontato che non possano integrarsi?

È una proposta che nasce per aumentare i voti a favore delle forze attualmente di governo? Come abbiamo già detto non si tratta di ottenere nuovi elettori visto che comunque la legge si rivolge a minorenni che in ogni caso dopo i 18 anni avrebbero potuto richiedere la cittadinanza. L’orientamento al voto degli immigrati stessi, dei loro figli e dei giovani in generale non è mai scontato e dipende volta per volta da valutazioni che riguardano non tanto la cittadinanza ma le opportunità di una vita di qualità nel paese in cui si vive, analogamente agli altri cittadini. Chi ha invece possibilità di ottenere strumentalmente un vantaggio immediato elettorale, sui cittadini italiani, è, al contrario, chi si oppone alla legge soffiando su timori e paure.

Infine, una obiezione mette in luce il fatto che la riforma potrebbe avere conseguenze negative sulle famiglie stesse di immigrati che si troverebbero con figli cittadini italiani e genitori senza cittadinanza. A ben vedere però questo è un aspetto positivo in un paese che troppo spesso vincola il destino dei figli alle caratteristiche dei genitori.

· PENSARE AI DIRITTI
Pensare a leggi – non solo sulla cittadinanza – che assegnino diritti propri, impegni, responsabilità ai giovani stessi è esattamente quello di cui questo paese ha bisogno per costruire un futuro in cui chi è nuovo può portare anche nuovo valore.

L’integrazione non si vede ma va avanti

Siamo continuamente bombardati da notizie e commenti sui nuovi sbarchi, sull’emergenza profughi, sul terrorismo islamico. Il rischio è però quello di perdere di vista la vera sfida che l’immigrazione pone al nostro paese, che più che sulla quantità degli arrivi – da contenere e regolare – si gioca sulle effettive possibilità di integrazione di chi è già qui.
Secondo i dati Istat, la popolazione residente in Italia ad inizio del 2017 era pari a poco più di 60,5 milioni.

Cerchi un lavoro? Devi essere single

 

La preoccupazione principale per un paese che vuole crescere dovrebbe essere quella di mettere i giovani nelle condizioni di realizzare con successo – in tempi e modi adeguati e desiderati – il percorso di entrata nella vita adulta. Se infatti le nuove generazioni non accedono ad una posizione solida nel mondo adulto produttivo, l’economia, in prospettiva, non può crescere. Allo stesso modo se i giovani invecchiano senza formare una propria famiglia, la demografia diventa progressivamente più fragile. I dati dell’ultimo Rapporto annuale Istat ci dicono che gli under 35 italiani, rispetto ai coetanei europei, sono più frequentemente senza lavoro e senza figli. Le politiche che consentono di integrare tali due obiettivi costituiscono l’asse portante di una società che produce benessere. Senza tale asse, i percorsi professionali e di vita rischiano di avvitarsi verso il basso. Molto più che negli altri paesi avanzati chi in Italia forma una famiglia, soprattutto se donna, si trova a rinunciare al lavoro. Se invece punta sul lavoro, si trova a rinviare e a ridurre la costruzione di una relazione di coppia solida e feconda.