Topic: ulteriori temi demografici

Crescita, l’Italia dimentica la demografia

Italia sta andando da tempo nella direzione sbagliata e l’ultima manovra varata, purtroppo, risulta tutt’altro che un cambio di direzione.

Per capirlo basta far riferimento a un indicatore demografico con forti implicazioni economiche e sociali, guardato con molta attenzione nelle società moderne avanzate. Si tratta del rapporto tra chi ha 65 anni e oltre sulla popolazione in età attiva (tasso di dipendenza degli anziani). Non sappiamo come saranno la società e l’economia italiana nel 2030 o nel 2050, ma siamo in grado con buona precisione di anticipare come sarà la struttura per età della popolazione. Da questo punto di vista il futuro italiano risulta essere uno dei meno rassicuranti della vecchia Europa. La demografia non è di per sé una condanna se si fanno per tempo le scelte giuste, noi però continuiamo a non farle, aggravando ulteriormente le condizioni e le prospettive del Paese.

Sono cinque le leve su cui dovremmo sinergicamente agire nel presente per risollevare il nostro futuro. Una è l’immigrazione, ma il governo ha fatto abbastanza esplicitamente capire di non volerla prendere in considerazione.

La seconda è la natalità, che in Italia ha toccato livelli particolarmente bassi ed è in continua caduta. Nonostante tanta retorica, l’ultima Legge di bilancio offre ben poche speranze di un’inversione di tendenza visto che contiene misure che non cambiano approccio e impostazione rispetto a quelle timide, occasionali e frammentate degli anni precedenti. Crescita della popolazione anziana e diminuzione della popolazione attiva continueranno quindi a caratterizzare in modo più accentuato il nostro Paese rispetto alle altre economie avanzate.

Ma gli squilibri che ci portano fuori rotta risultano ancora più marcati se, al posto degli anziani in senso anagrafico, si prendono in considerazioni gli inattivi e li si mette in rapporto alla popolazione effettivamente attiva, cioè a chi lavora e produce ricchezza che può essere redistribuita. Tale indicatore, noto come Economic old-age dependency ratio, è oggi attorno al 60% in Italia con la prospettiva che possa progressivamente salire vicino al 100% entro la metà di questo secolo.

Sugli inattivi la manovra non sembra poter produrre un forte contenimento, anzi con quota 100 tenderanno ad aumentare. Mentre è certo l’aumento di spesa pubblica per finanziare tale misura e il reddito di cittadinanza, molta più incertezza c’è sulla capacità di aumentare la platea di attivi da cui dipendono sostenibilità e benessere futuro.

E su questo aspetto pesano le altre tre leve. Una è l’occupazione femminile che assieme alla natalità è vincolata verso il basso dalla cronica carenza di politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia. Come l’occupazione delle donne, anche quella dei giovani è tra le più basse in Europa. Chi è senza lavoro potrà avere nel presente un maggior aiuto economico, ma la vera necessità del Paese è aumentare la platea di chi produce ricchezza se vogliamo evitare un futuro sempre più scadente. Purtroppo continua a mancare un piano solido e credibile per trasformare le nuove generazioni in una vera leva per la crescita competitiva del Paese. Anche su questo nella manovra non si vede una vera discontinuità con i governi precedenti. Su alcuni strumenti di potenziamento della transizione scuola-lavoro c’è addirittura un arretramento.

La quinta leva è il contributo alla crescita attraverso le nuove opportunità, grazie alla longevità e alla tecnologia, di una lunga vita attiva. Sembra che la politica italiana sia solo in grado di pensare a forzare i sessantenni a continuare lavorare o lasciare che le aziende se ne liberino il prima possibile. Molto meno degli altri Paesi avanzati investiamo sulle condizioni che favoriscono una lunga vita attiva, soddisfacente per il lavoratore maturo e produttiva per le aziende.

La demografia non condanna, ma la politica sì.

Un’alleanza per guidare la Nave Italia

Caro Direttore,
la nave Italia sta viaggiando nella direzione sbagliata. Trasformare la rabbia diffusa in odio può dare la sensazione di alleviare i problemi. Affermare che l’Italia può fregarsene delle compatibilità internazionali è un inganno che sarà pagato caro. Immaginare che la crescita si ottenga semplicemente aumentando il debito e alimentando i consumi è una illusione pericolosa.
Più presto il paese uscirà da questa fase onirica, meglio sarà. L’Italia ha bisogno, anzi l’opportunità, di cominciare a scrivere una pagina di storia nuova.
Ma per andare al di là di questa stagione triste è necessario avere una lettura diversa.
Sono tre le piste principali su cui lavorare.
Crescita economica e sviluppo sociale devono tornare a marciare insieme. Per navigare in mare aperto non possiamo più tollerare chi distrugge valore: sperperando denaro pubblico, distruggendo l’ambiente, sfruttando il lavoro, non pagando le tasse. Attorno a politiche nuove abbiamo al contrario bisogno di alleare tutti coloro che contribuiscono alla creazione del ben-essere e ben-vivere comune. Se vogliamo trasformare la rabbia in energia, la nostra convivenza e le nostre istituzioni vanno ricostruite su un nuovo scambio “contributivo e sostenibile” cosi da ridisegnare completa-mente i rapporti cittadino-stato e lavoro-impresa. Per mettere il passato alle spalle, la vera svolta è passare dalla irresponsabilità diffusa alla partecipazione costruttiva. Non dobbiamo aver paura di darci traguardi ambiziosi: aspirare ad una società dove ciascuno (incluso chi oggi é ai margini) sia messo in condizione di dare il proprio contributo per migliorare l’esistente, sentendosene responsabile
Il valore va prima di tutto creato e poi redistribuito, in una logica dinamica e virtuosa che attribuisca alla redistribuzione una funzione di investimento mirato sia alla riduzione delle diseguaglianze che alla produzione di nuovo valore e maggior benessere. In un paese che invecchia il rapporto tra tradizione e innovazione va ristabilito investendo nei giovani e nelle loro potenzialità, senza relegarli in panchina con politiche paternalistiche e assistenzialistiche. Solo ciò che migliora oggi la capacità di essere e fare delle nuove generazioni porta ad un futuro comune migliore. Non si esce dalla crisi semplicemente immaginando che l’economia sia una macchina da rendere efficiente. La sfida che abbiamo davanti è piuttosto quella di realizzare un modello di crescita sostenibile capace di farci fare un passo in avanti sul piano culturale e spirituale. E di raccordare meglio mezzi e fini, efficienza e inclusione, innovazione e umanizzazione, individuo e collettività realizzando una crescita di qualità, attributo che non è dei sistemi ma delle persone e delle comunità. Per questo non ci sarà nessuna nuova stagione senza mettere al centro la formazione, la scuola, il lavoro. Dove anche il welfare sia visto come investimento sociale, attivo e abilitante.
Lo scopo di questo intervento è quello di innescare processi e suscitare alleanze tra le tante forze positive che già operano nel paese. Forze, autonome dai partiti politici, dei mondi vitali dell’impegno sociale, educativo, civile, non che sono oggi disperse e che rischiano di finire sommerse dall’onda alta del populismo.
Non servono manifesti e cartelli politici, è venuto il momento di associare queste forze in uno sforzo comune. Serve un passo avanti per uscire dal “ricatto di breve termine”: tutto ci dice che i progetti umani con un orizzonte corto sono inefficaci e finiscono per essere dannose.
Invece che promesse mirabolanti o imperativi categorici, il paese a cui pensiamo lavora per unire visione e competenza, innovazione e inclusione, audacia e saggezza, sogno e concretezza.
Ricominciamo da qui. Insieme.

Mauro Magatti
Marco Bentivogli
Leonardo Becchetti
Alessandro Rosina

Oltre il rancore e la rassegnazione

Questa Italia abbiamo provato a raccontarla simbolicamente durante l’intera notte di equinozio dello scorso 22 settembre. Lo abbiamo fatto attraverso 100 storie che rappresentano esempi concreti della capacità di creare valore, bellezza, benessere, innovazione e inclusione sul territorio. Il successo di tale evento (co-organizzato con Acli, Arci Servizio Civile, Fim Cisl, Actionaid, Confcooperative, Cnca, Federsolidarietà, Fondazione Bassetti, Mestieri Lombardia, IN-InnovarexIncludere, Libera e molte altre realtà) ha mostrato che esiste un’Italia disposta a mobilitarsi “per” e non solo “contro”. Ha mostrato che al rancore e alla paura che chiude in difesa del presente è possibile contro-proporre il desiderio di partecipare alla costruzione di un’Italia aperta che metta in gioco le energie vitali e positive del nostro territorio.

Politiche per la famiglia: la Germania è l’esempio da seguire

Ottenuta la fiducia – sepolte metaforicamente le asce dei “vaffa” e delle “ruspe” – ora si dovrà pacificamente giudicare il Governo giallo-verde dai fatti. E alla prova dei fatti è chiamato, in particolare, il nuovo Ministro della Famiglia, noto per le sue convinzioni forti su cosa va considerata famiglia (e cosa no) e su chi ha diritto a misure di sostegno alla natalità (e chi no). Dopo l’incarico ha ribadito che è necessario dare urgente risposta agli squilibri demografici creati negli ultimi decenni e che cercherà di mettere in campo tutte le risorse che servono per solide politiche familiari. E’ però importante che tali politiche non siano divisive per essere efficaci e che siano chiare le idee su come indirizzare al meglio le risorse. Fontana ha citato la Francia come paese a cui ispirarsi, ma a ben vedere potrebbe invece essere la Germania, poco amata da questo Governo, l’esempio a cui far riferimento.

Far rete non basta per vincere

È certo non voluto, ma è senz’altro indicativo il fatto che il “contratto-agenda” del possibile futuro governo di M5s e Lega sia stato reso noto lo stesso giorno in cui è uscito il Rapporto annuale dell’Istat sulla situazione economica e sociale dell’Italia. Da un lato, il ritratto delle difficoltà del paese reale, le diseguaglianze (sociali, territoriali, generazionali) crescenti, i timidi segnali di miglioramento dopo la crisi; dall’altro, la politica, con gli esiti delle elezioni (che risentono di tale quadro e bocciano le forze tradizionali) e le ricette proposte dai due partiti usciti vincitori (con scarsa visione e molto generiche). In attesa di vedere quali azioni potrebbe produrre la cura dell’eventuale nuovo governo e valutarne gli effetti, concentriamoci per ora sulle condizioni del paziente sottoposto alle analisi dell’Istat.