Topic: popolazione, risorse e sviluppo

Gestire bene l’immigrazione aiuta il Paese a crescere

Nelle pagine conclusive di “Se questo è un uomo”, uno dei libri più utili per capire l’abisso della condizione umana, Primo Levi racconta gli ultimi giorni di vita ad Auschwitz. I nazisti, pressati dall’imminente arrivo delle truppe alleate, avevano evacuato il campo lasciando solo gli ammalati. Vari drammatici giorni di freddo, fame e stenti trascorsero prima dell’arrivo dei liberatori. Scrive l’autore: “Venne l’oscurità; di tutto il campo la nostra era l’unica camera munita di stufa, del che eravamo assai fieri. Molti malati di altre sezioni si accalcavano alla porta”. Quale fu la reazione? Non furono lasciati entrare, ma allontanati con fermezza e abbandonati al loro destino. Non c’era spazio per tutti. L’ingresso di altre persone avrebbe ridotto drasticamente le probabilità di sopravvivenza di chi si si era già stabilmente insediato nella camera e aveva contribuito a renderla più vivibile rispetto a tutte le altre.

Ridare peso alle nuove generazioni in un’Italia che invecchia

Questo slancio l’Italia sembra averlo perso da tempo. I dati che lo confermano sono molti, ma ce ne sono tre eclatanti: l’enorme debito pubblico  scaricato sulle nuove generazioni, il deterioramento delle prospettive occupazionali giovanili, la riduzione delle nascite in contrapposizione alla crescita esuberante della popolazione anziana. Difficile trovare una combinazione così accentuata di questi tre aspetti in un altro paese sviluppato, con conseguenze negative vincolanti rispetto alla produzione di ricchezza e benessere.

La partita del cambiamento che rischiamo di perdere

Fino a poche generazioni fa il mutamento era lento e non imponeva – tranne che per eventi straordinari come guerre o catastrofi naturali – riaggiustamenti rilevanti. I punti di riferimento erano stabili e la vita era breve. Ora viviamo molto più a lungo e tutto attorno a noi è in rapida e continua evoluzione.

La generazione che ha avuto meno e dato di più all’Italia

I senior di oggi appartengono alla prima generazione nata nel secondo dopoguerra. Sono i “baby boomers”: cresciuti in un Paese che con essi è entrato a pieno titolo nel club esclusivo delle società moderne, economicamente avanzate e demograficamente mature. Per capire però appieno le trasformazioni dell’Italia in cui hanno vissuto e vivono gli attuali senior è utile partire dalla generazione che li ha preceduti, quella dei loro genitori, nati tra la fine della Grande Guerra e i primi anni Trenta. Una generazione che ha attraversato in età cruciali alcuni snodi fondamentali del XX secolo e che con le sue scelte ha impostato il ritmo di marcia delle coorti successive.

La rivoluzione femminile deve durare tutto l’anno

«FELICE il Paese che non ha bisogno di eroi» e che non ha bisogno di celebrare la Festa della donna in un giorno specifico dell’anno. L’8 marzo è passato ma le difficoltà della componente femminile della popolazione nell’ottenere l’espressione piena dei diritti di parità durano 365 giorni. Nella “Vita di Galileo” da cui è tratta la famosa frase citata in apertura, Bertolt Brecht racconta il tormento e le resistenze prodotte dalla messa in discussione delle tradizionali certezze del cosmo. Anche la rivoluzione della presenza femminile nella società, nel mercato del lavoro, nella politica, trova molti ostacoli e resistenze a compiersi nonostante la documentazione scientifica dei vantaggi che comporterebbe, analogamente alle evidenze empiriche fornite dal cannocchiale di Galileo.