Topic: popolazione, risorse e sviluppo

Natalità. Avere figli deve essere una gioia. Vanno rimossi tutti gli ostacoli

Le donne italiane desiderano avere figli e realizzarsi nel mondo del lavoro non meno delle donne degli altri Paesi europei. Ma è anche vero che nessuno impedisce alle donne italiane di diventare madri e di avere un lavoro remunerato. Perché allora l’Italia presenta la peggiore combinazione in Europa di bassa natalità e bassa occupazione femminile? Uno dei motivi principali è che meno degli altri Paesi mettiamo le donne nella condizione di effettuare con successo la scelta combinata (non solo ciascuna singolarmente) di realizzarsi come madri e nella vita professionale.

Il dividendo demografico

Sta venendo a compimento nel XXI secolo un passaggio unico nella storia dell’umanità che porta ad un mutamento delle tradizionali fasi della vita e ad un’alterazione del tipico rapporto tra le generazioni, con implicazioni che mettono in discussione le basi che finora hanno consentito lo sviluppo economico e la sostenibilità sociale. Il motore di questa grande trasformazione è la “transizione demografica”. La prima fase di questo processo è caratterizzata dalla riduzione dei rischi di morte in età infantile e giovanile. Via via che si abbassano i rischi anche nelle età successive, il livello di fecondità che garantisce il ricambio generazionale scende progressivamente verso il valore di due (bastano due figli per sostituire i genitori alla stessa età). Va così a restringersi la base della piramide demografica a fronte di una punta
che si alza e allarga. Si entra così in una condizione del tutto nuova che impone la sfida di garantire sviluppo e benessere in un mondo in cui i giovani diventano una risorsa scarsa (“degiovanimento”) a fronte di una continua crescita della componente anziana (“invecchiamento”).

Crisi demografica: PUNTO DI NON RITORNO?

La popolazione italiana ha esaurito la sua capacità di crescita endogena: dai 60 milioni del 2014 arriveremo a 40 milioni nel 2100. È la traiettoria disegnata da Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e statistica sociale all’Università Cattolica di Milano.

Una tendenza da invertire se non si vuole rischia re l’impoverimento economico e sociale del Paese. Abbiamo fatto il punto e provato a individuare alcune soluzioni. Professor Rosina, l’Italia è destinata all’estinzione?
La prospettiva dell’estinzione è molto remota. Quello che è certo è che abbiamo già superato il punto di non ritorno rispetto all’evoluzione demografica: a causa della persistente denatalità, la popolazione italiana ha esaurito la sua capacità endogena di crescita ed è avviata verso un continuo declino, quantomeno per il resto di questo secolo.
Il saldo tra nascite e decessi è diventato negativo verso la fine del secolo scorso, è stato poi compensato dall’immigrazione, ma dal 2014 nemmeno più il contributo della componente straniera riesce a contrastare le dinamiche demografiche negative.
Da oltre 60 milioni del 2014 la popolazione è scesa, secondo il dato attuale, sotto i 59 milioni e potrebbe ridursi a meno di 40 milioni entro il 2100. Cosa accadrà dopo non siamo in grado di dirlo.

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Per non morire di rendita

Non ho una visione così negativa (come quella di Di Vico, ndr) della città. Ci sono dei nodi da sciogliere, è evidente. Da un lato l’amministrazione è in difficoltà perché fa fatica a confrontarsi con l’attrattività che riescono ad avere le altre grandi città europee, anche perché è all’interno del contesto italiano e subisce i limiti delle politiche espresse dal paese.

Una trappola da evitare

(ESTRATTO)

E’ bene essere consapevoli che per la situazione in cui l’Italia si trova (come combinazione di persistente bassa fecondità e struttura demografica sbilanciata a sfavore delle nuove generazioni) la possibilità di dare impulso a una solida nuova fase che porti verso lo scenario alto si può ottenere solo allineandosi alle migliori esperienze europee.

Le esperienze europee ci dicono che l’aiuto economico è la leva più efficace come effetto di breve periodo per risollevare le nascite, perché consente di sbloccare – tanto più dopo una crisi e in condizioni di incertezza – una scelta lasciata in sospeso e continuamente rinviata. Ma affinché a tale impulso si agganci un effettivo processo di inversione di tendenza che prosegua nel medio-lungo periodo serve un processo di solido miglioramento di servizi e strumenti a favore delle famiglie e a sostegno delle scelte genitoriali (con monitoraggio e valutazione continua dell’efficacia rispetto ai risultati attesi).