Topic: popolazione, risorse e sviluppo

Fallire stavolta non possiamo

L’Assegno unico universale per i figli (AUUF) può essere una pietra miliare sul percorso di sviluppo del nostro paese: il primo atto di una rivoluzione nelle politiche familiari. Ma siamo ancora in tempo per rovinare tutto.

Di tale rivoluzione abbiamo gran bisogno se non vogliamo che la pandemia peggiori ulteriormente le fragilità delle famiglie e indebolisca ancor più le loro scelte, con conseguente aumento delle disuguaglianze sociali e degli squilibri demografici già a livelli record.

La Germania questa rivoluzione l’ha avviata poco prima della Grande recessione del 2008 riuscendo a contrastare il declino delle nascite. Lo ha fatto rafforzando i servizi per l’infanzia (facendo diventare un diritto l’accesso al nido) in combinazione con un assegno universale tra i più consistenti in Europa.

Se vogliamo che l’AUUF italiano possa contribuire a fare la differenza tra quello che eravamo prima della pandemia e una nuova fase solida e vitale di sviluppo, dobbiamo consolidare alcuni punti sui quali non tornare indietro e prendere impegni precisi sui punti che ancora mancano per andare nella giusta direzione.

Rispetto al primo gruppo, un punto cruciale è il fatto che le politiche familiari non possono essere limitate al contrasto alla povertà. Devono poter andare oltre, con l’obiettivo di favorire il realizzarsi della scelta libera e desiderata di avere un figlio, oltre che migliorare le condizioni che un bambino trova alla sua nascita, sul versante relazionale, educativo ed economico. Un secondo punto importante presente nell’AUUF su cui non recedere, è il principio universalistico combinato con la messa al centro delle politiche familiari l’interesse del bambino. Destinatari sono i figli stessi – indipendentemente dalle caratteristiche della famiglia, dalla condizione professionale dei genitori e di come varia nel tempo – come valore che il paese riconosce alla loro presenza solida e per la qualità della loro crescita.

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Una rivoluzione che mette al centro le nuove generazioni

“Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso” dice un proverbio cinese attribuito a Confucio. Lo stesso vale per l’Assegno unico e universale per i figli (AUUF). Sarebbe stato utile alle famiglie italiane per rispondere alle difficoltà economiche e all’insicurezza verso il futuro durante la Grande recessione del 2008. O quantomeno in tempo per affrontare l’impatto della crisi sanitaria. Una proposta di istituzione di tale misura è rimasta, invece, per vari anni ferma in Parlamento, per poi trovare nuovo impulso nel contesto del Family Act. Dopo un percorso di rallentamenti e accelerazioni si è ottenuto solo ieri il via libera definitivo. Il Parlamento ha cercato di dare un segnale positivo con l’approvazione finale fatta arrivare qualche giorno prima della seconda Pasqua in confinamento e qualche giorno dopo la pubblicazione dei drammatici dati Istat sulla dinamica demografica durante la pandemia.

Italia stretta dal declino demografico

Il dato sulle nascite nel 2020 appena pubblicato dall’Istat contiene due conferme negative. La prima è il suo porsi in continuità con il declino degli anni precedenti. La seconda è l’ulteriore accentuazione al ribasso causata dalla crisi sanitaria. L’esito è un numero di nati ai minimi storici (404 mila) che rende ancor più ampio il divario record rispetto ai decessi (-342 mila). E’ dalla recessione del 2008, arrivando fino all’impatto della pandemia, che collezioniamo record negativi per la demografia del nostro paese: siamo scesi al livello più basso di nascite di sempre; abbiamo più che dimezzato il livello del baby boom; per la prima volta la popolazione è in declino; siamo entrati in fase di continua riduzione delle potenziali madri e delle fasce centrali lavorative. E’, allora, forse arrivato il tempo di chiedersi perché questo grande tema continuiamo ad affrontarlo con toni di forte preoccupazione quando vengono pubblicati ogni anno nuovi dati negativi, per poi lasciarlo scivolare ai margini del dibattito pubblico e dell’azione politica. E’ diventata la grande questione rimossa del nostro paese.

Quel mito infranto del nostro benessere

Siamo ancora nel pieno del momento più drammatico vissuto dal nostro paese nel secondo dopoguerra. La lunga colonna di mezzi militari carichi di feretri che attraversa le vie deserte di Bergamo, immortalata il 18 marzo scorso, è destinata a rimanere una delle immagini simbolo di questo secolo. Possiamo leggerla oggi come il segnale di una rivoluzione silenziosa con la quale la morte si è ripresa la scena.

Nella crisi globale delle nascite l’Italia è di fronte a un bivio

La Terra gira continuamente e si rinnova ogni giorno, ogni stagione, ogni anno. La vita su questo pianeta viene reinterpretata da generazioni nuove, che prendono progressivamente il posto di quelle precedenti e si aprono generativamente verso quelle successive. Per lunga parte della storia dell’umanità le nascite sono state abbondanti, in media cinque e oltre per donna, ma molto elevata era anche la mortalità infantile e nelle fasi successive. Se la popolazione mondiale non si è estinta è stato grazie alla vitalità che è stata in grado di esprimere, mantenuta maggiore rispetto ad una elevata mortalità ordinaria e a ricorrenti epidemie presenti in forma endemica. Nei secoli più recenti la scienza, gli strumenti di salute pubblica, la maggior consapevolezza nei confronti del benessere individuale e collettivo, hanno ridotto notevolmente l’incidenza della mortalità dalla nascita fino alle età più avanzate. Un bambino che nasce oggi in Europa ha una elevata probabilità di vivere ben oltre l’età dei propri nonni. Questo processo viene chiamato ‘transizione sanitaria’. Tale processo è stato seguito dalla ‘transizione riproduttiva’, che ha condotto l’avere figli all’interno di un processo decisionale sempre più deliberato e consapevole.