Topic: popolazione, risorse e sviluppo

Italia stretta dal declino demografico

Il dato sulle nascite nel 2020 appena pubblicato dall’Istat contiene due conferme negative. La prima è il suo porsi in continuità con il declino degli anni precedenti. La seconda è l’ulteriore accentuazione al ribasso causata dalla crisi sanitaria. L’esito è un numero di nati ai minimi storici (404 mila) che rende ancor più ampio il divario record rispetto ai decessi (-342 mila). E’ dalla recessione del 2008, arrivando fino all’impatto della pandemia, che collezioniamo record negativi per la demografia del nostro paese: siamo scesi al livello più basso di nascite di sempre; abbiamo più che dimezzato il livello del baby boom; per la prima volta la popolazione è in declino; siamo entrati in fase di continua riduzione delle potenziali madri e delle fasce centrali lavorative. E’, allora, forse arrivato il tempo di chiedersi perché questo grande tema continuiamo ad affrontarlo con toni di forte preoccupazione quando vengono pubblicati ogni anno nuovi dati negativi, per poi lasciarlo scivolare ai margini del dibattito pubblico e dell’azione politica. E’ diventata la grande questione rimossa del nostro paese.

Quel mito infranto del nostro benessere

Siamo ancora nel pieno del momento più drammatico vissuto dal nostro paese nel secondo dopoguerra. La lunga colonna di mezzi militari carichi di feretri che attraversa le vie deserte di Bergamo, immortalata il 18 marzo scorso, è destinata a rimanere una delle immagini simbolo di questo secolo. Possiamo leggerla oggi come il segnale di una rivoluzione silenziosa con la quale la morte si è ripresa la scena.

Nella crisi globale delle nascite l’Italia è di fronte a un bivio

La Terra gira continuamente e si rinnova ogni giorno, ogni stagione, ogni anno. La vita su questo pianeta viene reinterpretata da generazioni nuove, che prendono progressivamente il posto di quelle precedenti e si aprono generativamente verso quelle successive. Per lunga parte della storia dell’umanità le nascite sono state abbondanti, in media cinque e oltre per donna, ma molto elevata era anche la mortalità infantile e nelle fasi successive. Se la popolazione mondiale non si è estinta è stato grazie alla vitalità che è stata in grado di esprimere, mantenuta maggiore rispetto ad una elevata mortalità ordinaria e a ricorrenti epidemie presenti in forma endemica. Nei secoli più recenti la scienza, gli strumenti di salute pubblica, la maggior consapevolezza nei confronti del benessere individuale e collettivo, hanno ridotto notevolmente l’incidenza della mortalità dalla nascita fino alle età più avanzate. Un bambino che nasce oggi in Europa ha una elevata probabilità di vivere ben oltre l’età dei propri nonni. Questo processo viene chiamato ‘transizione sanitaria’. Tale processo è stato seguito dalla ‘transizione riproduttiva’, che ha condotto l’avere figli all’interno di un processo decisionale sempre più deliberato e consapevole.

Per la famiglia serve un piano integrato che cambi i comportamenti

L’Italia è un paese in profonda crisi demografica. Il numero medio di figli per donna è persistentemente in fondo alla classifica europea. Gli squilibri prodotti sono tali che abbiamo oggi più ottantenni che nuovi nati. La natalità è l’indicatore più sensibile, nei Paesi più avanzati, alle condizioni oggettive del presente e alle prospettive future. Difficoltà e rinunce delle famiglie si intrecciano anche con le diseguaglianze generazionali, di genere e territoriali. Continuiamo a essere uno dei Paesi con la peggior combinazione di bassa fecondità, bassa occupazione femminile, alto rischio di povertà per le famiglie che vanno oltre il secondo figlio. A crollare negli ultimi anni sono state soprattutto le nascite da parte di genitori sotto i 35 anni.

I Paesi europei con fecondità superiore alla nostra offrono un sistema efficiente di sostegni e servizi per le famiglie: misure che favoriscono l’autonomia abitativa dei giovani, una rete solida di servizi per l’infanzia, misure chiare e facilmente accessibili di sostegno economico alle coppie con figli minori, un processo di continuo monitoraggio e miglioramento delle politiche a favore delle famiglie. Non basta una singola misura e nemmeno una serie di misure settoriali. Serve un sistema integrato e coerente di strumenti a sostegno alle diverse e mutevoli esigenze delle famiglie. Le misure messe in atto devono, inoltre, poter contribuire a cambiare cultura e comportamenti rispetto alle scelte familiari (aspettative di coppia, clima sociale, atteggiamento dei padri, dei datori di lavoro, ecc.). Vanno disegnate e implementate in coerenza con le specificità, anche culturali, del territorio, imparando a valutarne l’impatto.

Quello che altri Paesi che crescono più di noi hanno capito è che le politiche familiari vanno considerate parte integrante delle politiche di sviluppo, che devono anche farsi carico dell’impatto sulle famiglie di ogni provvedimento. L’approccio integrato, scelto da altri Paesi, ha migliorato il clima di fiducia, che favorisce scelte di impegno positivo verso il futuro.

Next generation Eu è un’occasione unica per il nostro Paese per investire su progetti in grado di rigenerare il Paese, superare gli squilibri che ci caratterizzano e avviare una nuova fase di sviluppo mettendo al centro la capacità delle persone di stare in relazione e generare valore comune. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) contiene molte misure singolarmente condivisibili, ma appare debole il disegno che le unisce e non è valorizzata la sinergia tra le parti. Per fare solo un esempio, fra i diversi possibili, il rafforzamento dei servizi per l’infanzia nella prima bozza era una delle linee di intervento della componente “Parità di genere” mentre nell’ultima bozza del PNRR è passato nella componente “Potenziamento delle competenze e diritto allo studio”. Ma qual è la funzione dei nidi? È ampia, interrelata, diversificata. Vanno considerati come punto di partenza di un’offerta formativa di qualità, ma devono anche poter contribuire a ridurre le diseguaglianze di partenza e favorire una conciliazione tra famiglia e lavoro per entrambi i genitori, oltre che il loro compito educativo. Non basta quindi fissare un obiettivo di copertura nazionale: serve anche l’integrazione in un sistema coerente che preveda orari di lavoro flessibile, part time e congedi condivisi, una pianificazione dei tempi di spostamento delle città, una promozione dell’attività di cura sul versante maschile. Diritti e opportunità, conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, condivisione di genere non sono obiettivi indipendenti.

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La rinuncia ai figli e il declino italiano

Nel suo tradizionale discorso di fine anno il Presidente Mattarella ha messo bene in luce l’impatto della crisi sanitaria sul paese, ma anche sulle storie individuali e sui progetti di vita. Ha, infatti ricordato, che la pandemia “ha scavato solchi profondi nelle nostre vite, nella nostra società. Ha acuito fragilità del passato. Ha aggravato vecchie diseguaglianze e ne ha generate di nuove. Tutto ciò ha prodotto pesanti conseguenze sociali ed economiche”. Ha, inoltre, aggiunto che la crisi sanitaria “ha seminato un senso di smarrimento: pone in discussione prospettive di vita. Basti pensare alla previsione di un calo ulteriore delle nascite, spia dell’incertezza che il virus ha insinuato nella nostra comunità”.