Topic: giovani

Ripartiamo da Zeta

Gli attuali under 25 appartengono alla Generazione Zeta, composta dai nati dal 1996 in poi. E’ la prima generazione cresciuta sin dall’infanzia nel XXI secolo. Di fatto, senza diretta memoria del secolo precedente e tutta proiettata nelle trasformazioni di quello in corso. Distintivo è il rapporto con le nuove tecnologie e i social network. Presenta sensibilità spiccate verso i temi dell’ambiente e a condotte più attente al benessere sociale in generale. Tende, inoltre, a prediligere una partecipazione poco guidata da ideologie, molto orientata a risultati concreti e vissuta come esperienza condivisa di arricchimento personale. Alta è la propensione ad entusiasmarsi quando il coinvolgimento funziona, ma risulta anche più esposta al rischio di demotivazione quando mancano stimoli o non vedono un riscontro riconoscibile del proprio impegno. Questo vale anche sul lavoro.

I dati del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo suggeriscono, in particolare, come il desiderio di fondo della Generazione Zeta non sia tanto quello di porre confini al lavoro per dare più spazio alla vita libera dal lavoro, ma di contaminare i due territori e soprattutto riempire di vita il lavoro, in termini di passioni e interessi. Si tratta di dati coerenti con molte ricerche internazionali che registrano una crescita tra i giovani di chi afferma di prediligere aziende socialmente responsabili, attente e impegnate in campo ambientale, anche se questo dovesse comportare uno stipendio più basso.

E’ però anche vero che, pur facendo propria un’idea di benessere e realizzazione personale più ampia rispetto alle generazioni precedenti, vivono in un contesto storico di grande incertezza, che porta a mantenere alta l’attenzione verso la solidità del lavoro e il livello di remunerazione. Questo significa, anche, che se le condizioni economiche e le opportunità occupazionali delle nuove generazioni fossero migliori, la loro spinta verso un nuovo modello di sviluppo più sostenibile sarebbe ancor più forte.

La combinazione tra cambiamento accelerato e complessità crescente della realtà in cui si collocano i percorsi formativi e professionali di chi è giovane in questo secolo, offre potenzialmente più opzioni rispetto alle generazioni precedenti ma è aumenta anche l’incertezza associata alle scelte e alle loro implicazioni. Questa incertezza è inoltre stata accentuata dall’impatto di quattro crisi che hanno segnato il percorso di crescita della generazione Zeta, dall’infanzia fino alle soglie dell’età adulta.

La prima crisi è quella che corrisponde alla discontinuità prodotta dall’11 settembre 2001, che ha fatto crescere la percezione di insicurezza, limitando in partenza lo spazio strategico di mobilità di una generazione propensa a pensarsi cittadina di un mondo senza confini. La seconda è stata la Grande recessione del 2008-13, che ha reso ancor più chiara la difficoltà delle economie moderne avanzate ad aprire una nuova fase di sviluppo diffuso, in coerenza con le sfide e le grandi trasformazioni del nuovo secolo. L’Europa stessa di fronte alla prova della recessione non si è rivelata compatta e solidale. La Brexit ha ulteriormente messo in evidenza i limiti del processo di integrazione e dello sviluppo di una visione comune. Anche questa crisi politica europea ha contribuito a rendere più deboli i punti di riferimento per le nuove generazioni nella costruzione del proprio futuro. In particolare, la generazione Zeta è la prima, dal Secondo dopoguerra, a non crescere con l’idea di una Europa che si rafforza e allarga. La quarta crisi è quella sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19. Gli attuali under 25 hanno nella loro biografia l’impatto combinato di questi grandi eventi che hanno cambiato il modo di vivere, di stare in relazione, di guardare il mondo e di operare al suo interno.

Nel nostro paese l’incertezza è inoltre amplificata dalle carenze degli strumenti di welfare attivo e dal basso investimento in ricerca, sviluppo e innovazione. Inoltre, gli attuali ventenni diventano adulti in uno dei paesi con peggior peso di debito pubblico e maggior carico di anziani sulla popolazione attiva. Ancor più, quindi, che nel resto d’Europa, le possibilità di crescita e di sostenibilità sociale dell’Italia dipendono dalla formazione del capitale umano delle nuove generazioni e dalla capacità di piena valorizzazione all’interno del mondo del lavoro. Ma proprio questi sono i punti su cui presentiamo maggiore fragilità e che rischiano ora di essere maggiormente indeboliti dall’impatto della pandemia.

L’Italia nel decennio appena concluso ha consolidato la sua posizione sui livelli peggiori in Europa rispetto agli indicatori della transizione scuola-lavoro. La percentuale di giovani tra i 18 e i 24 che lasciano precocemente gli studi (Early leavers) continua ad essere sensibilmente sopra la media europea, con punte oltre il 20% tra i maschi del Sud. Ancora nel 2019, l’Italia risultava il paese in Europa con più alta incidenza di Neet (i giovani che non studiano e non lavorano): pari al 27,8% nella fascia 20-34 (quasi il triplo rispetto a Paesi Bassi e Svezia).

Il report Eurostat “COVID-19 labour effects across the income distribution” (Statistics explained, ottobre 2020) evidenzia come la crisi causata da COVID abbia investito in modo particolare i giovani e stia inasprendo le diseguaglianze generazionali e sociali. A risentirne di più – dal lockdown in occasione della prima ondata in poi – è chi è in cerca di occupazione, chi non ha un contratto a tempo indeterminato, chi lavora nei settori più colpiti (come ristorazione, intrattenimento, servizi di alloggio, turismo).

La disoccupazione giovanile in Europa, sotto il 15% poco prima della pandemia, risultava salita al 17,6% ad agosto 2020, ma con dato italiano arrivato al 32,1%. Questi valori evidenziano una situazione di maggior fragilità rispetto alla recessione iniziata nel 2008. In tale occasione, nel nostro paese, il tasso di disoccupazione dei giovani partiva da valori poco superiori al 20% ed era arrivato a superare il 30% “solo” quattro anni dopo (nel 2012).

La preoccupazione rispetto ad un quadro di ulteriore scadimento al ribasso delle prospettive delle nuove generazioni emergeva ben chiara dall’indagine promossa dall’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo durante il primo lockdown. Allora quasi la metà (il 49%) degli intervistati, tra i 18 e i 34 anni, dichiarava di vedere – rispetto a prima dell’emergenza coronavirus – più a rischio il proprio lavoro attuale o futuro. Nell’indagine replicata nella prima metà di ottobre (prima delle possibili conseguenze della seconda ondata) alla stessa domanda la percentuale risultava rimasta comunque elevata, superiore al 40%.

Dalla stessa indagine emergono però anche elementi incoraggianti sia sul versante individuale che rispetto alle prospettive del paese. Sul piano personale si riscontra una grande voglia di reagire positivamente, di guardare oltre sia ai limiti della normalità passata, assieme ad una maggiore propensione a contare su sé stessi e sugli altri, a far fronte ai cambiamenti e a riconoscere nuove opportunità. Rispetto al sistema Italia i giovani intervistati intravedono un possibile impulso positivo nel post Covid-19 non solo sull’attenzione verso la salute collettiva ma anche sul fronte del digitale, dell’innovazione tecnologica e della green economy. Tutti questi temi sono sentiti vicini e propri dalle nuove generazioni e forte è quindi anche l’aspettativa di essere coinvolte come parte attiva di un nuovo inizio.

Ripartire dalla Zeta è, quindi, il piano che il paese dovrebbe darsi se vuole davvero cogliere la discontinuità della pandemia come occasione per mettere nuove basi al proprio percorso di sviluppo, più solide ma anche più coerenti con i più promettenti processi di produzione di benessere di questo secolo.

Quei diritti dei ragazzi generano valori

La Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nasce assieme alla Convention on the Rights of the Child approvata il 20 novembre del 1989 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Celebrarla ogni anno – ancor più in periodi particolari come questo – significa chiedersi non solo quali passi in avanti sono stati fatti per rispettare quanto scritto nella Convenzione, ma anche come ripensare il tipo di diritti da riconoscere alle nuove generazioni perché possano farsi interpreti positivi del proprio tempo. Se da un lato, sotto vari punti di vista, sono aumentate le opportunità rispetto alle generazioni precedenti, d’altro lato la complessità e il rapido cambiamento rendono più difficile mettere basi solide ai propri percorsi formativi, professionali e di vita.

Ma anche i modelli stessi, sociali ed economici, che orientano gli obiettivi, la misura e gli strumenti della produzione di benessere sono entrati in crisi. Un tema messo al centro dei lavori dell’evento The economy of Francesco che si sta tenendo in questi giorni. Questa incertezza è inoltre stata accentuata dall’impatto di quattro crisi che hanno segnato il percorso di crescita dei nati in questo secolo (la generazione Zeta) dall’infanzia fino alle soglie dell’età adulta. La prima crisi è quella che a partire dall’11 settembre 2001 ha accresciuto la percezione di insicurezza nel muoversi nel mondo e tra culture diverse.

La seconda è la Grande recessione del 2008-13, che ha reso ancor più chiara la difficoltà delle economie mature avanzate a crescere in coerenza con le sfide di questo secolo. La generazione Zeta europea è stata, con la Brexit, anche la prima a non crescere con l’idea di un processo comunitario che si rafforza e allarga. La quarta crisi è quella sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19. Gli attuali under 20 hanno nella loro biografia l’impatto combinato di questi grandi eventi che hanno cambiato il modo di vivere, di stare in relazione, di guardare il mondo e di operare al suo interno. In Italia l’incertezza è inoltre amplificata dalle carenze degli strumenti di welfare attivo che accentuano la dipendenza passiva dai genitori. Inoltre, i giovani attuali diventano adulti in uno dei Paesi con maggior peso di debito pubblico e carico di pensionati sulla popolazione attiva.

Ancor più che nel resto d’Europa, quindi, le possibilità di crescita e di sostenibilità sociale dell’Italia dipendono dalla formazione del capitale umano delle nuove generazioni e dalla capacità di piena valorizzazione all’interno del mondo del lavoro. Ma proprio questi sono i punti su cui presentiamo maggiore fragilità e che rischiano ora di essere maggiormente indeboliti dall’impatto della pandemia. «L’Atlante dell’infanzia a rischio 2020» pubblicato in questi giorni da Save the Children, aiuta in modo efficace a leggere tali fragilità e la loro distribuzione (territoriale e sociale) all’interno del nostro Paese.

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La crisi e il prezzo che i giovani sono chiamati a pagare

I giovani, in Europa e ancor più in Italia, sono ancora una volta chiamati a pagare i maggiori costi economici e sociali, nel breve e nel medio periodo, di una grave e profonda crisi. Se questo era il timore durante il periodo di lockdown di primavera, ora è di fatto una certezza. Lo testimoniano i dati sulla disoccupazione giovanile salita in Europa dal 14,9% poco prima della pandemia al 17,6% ad agosto 2020, ma arrivata già al 32,1% in Italia. Dati che evidenziano una situazione di maggior fragilità rispetto alla recessione iniziata del 2008. Allora il tasso di disoccupazione dei giovani partiva da valori poco superiori al 20%, arrivando a superare il 30% “solo” quattro anni dopo, nel 2012.

Covid tvingar italienare att bo hemma längre

Att erövra sin självständighet är ingen självklarhet för Italiens unga. Under 2018 tvingades omkring 70 procent av personerna upp till 30 år att bo hos sina föräldrar i perioder, av ekonomiska skäl. Det kommer att bli ännu vanligare på grund av coronapandemin – och högre upp i åldrarna.

Det menar Alessandro Rosina, demograf på Katolska universitetet i Milano, och vetenskapligt ansvarig på ungdomsinstitutet Osservatorio Giovane del Toniolo.

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Una occasione per riorientare il percorso formativo dei giovani

La preoccupazione principale di tutte le economie colpite in modo severo dalla pandemia continua ad essere, sul versante difensivo, quella di capire come garantire lo svolgimento delle attività in adeguate condizioni di sicurezza per la salute pubblica. Manca ancora, invece, una visione coerente e condivisa del piano di attacco, che abbia l’ambizione di coniugare la riduzione progressiva delle diseguaglianze sociali e degli squilibri demografici con il miglioramento continuo delle opportunità connesse alla transizione digitale e verde.

I Paesi che meglio sapranno far corrispondere l’uscita dall’emergenza con l’avvio di un percorso in tale direzione, sono destinati a cogliere i migliori frutti di una nuova fase di sviluppo. Ed è convinzione comune che la formazione sia uno degli assi portanti da rafforzare per la costruzione di una nuova normalità che non si risolva in un semplice aggiustamento al ribasso.

La ripartenza dell’anno scolastico è stata fortemente piegata alle esigenze di contenere i rischi di contagio. Ma oltre ad organizzare tempi e spazi in modo diverso da prima, per evitare l’epidemia, va colta l’occasione per capire come andare incontro alle nuove esigenze di apprendimento delle giovani generazioni con la sperimentazione di nuovi strumenti, modalità di erogazione e fruizione dei contenuti. In assenza di un forte impegno in questa prospettiva il rischio è quello di un aumento della dispersione scolastica e delle fragilità educative, con conseguente ulteriore indebolimento della già scarsa dotazione di capitale umano del Paese. I dati del Rapporto BES (Benessere equo e sostenibile) mostrano come la maggior deprivazione dei giovani sia quella che combina carenze nella dimensione formazione e lavoro con disagio sociale

Ma oltre a mettersi in sintonia con i cambiamenti antropologici nel modo in cui le nuove generazioni apprendono, sviluppano sensibilità e interessi, è cruciale anche aver ben chiaro: come aiutare i giovani ad intrepretare le trasformazioni del mondo in cui vivono e capire cosa cambia nello scenario post Covid-19 (nella vita quotidiana e nel lavoro); come dotarli di competenze che rafforzano la possibilità di partecipare ai più avanzati processi di sviluppo dei prossimi decenni; come riqualificare, inoltre, chi è già uscito dal sistema di istruzione e non trova lavoro, in coerenza con ciò di cui oggi ha più bisogno il sistema produttivo per ripartire.

La Commissione europea ha recentemente elaborato un pacchetto di azioni da finanziare con Next Generation Eu per sostenere una occupazione giovanile in sintonia con i cambiamenti del mondo del lavoro e le nuove competenze richieste. Una delle principali Raccomandazioni riguarda l’istruzione e formazione professionale (IFP). Per l’Italia questo è uno dei fronti da cui possono derivare i maggiori margini di miglioramento nello spostarsi dalla strategia di difesa a quella in attacco. Da un lato, la debolezza su ampia parte del territorio italiano dell’offerta di istruzione tecnica e professionale è uno dei motivi dell’alta dispersione scolastica. D’altro lato, la modernizzazione e il rafforzamento dell’IFP può favorire in tutto il Paese un maggior accesso alla formazione tecnica post-secondaria (ITS) e a quella terziaria. Da questo fronte è possibile, insomma, ottenere una delle spinte più rilevanti alla convergenza dell’Italia verso la media europea sugli indicatori dell’istruzione e della transizione scuola-lavoro, su cui attualmente presentiamo valori tra i peggiori dell’Unione.

La Commissione europea ha inoltre annunciato il rinnovo dell’Alleanza europea per l’apprendistato con l’obiettivo di rafforzarne qualità, offerta e immagine nei paesi membri. L’obiettivo è garantire un’offerta stabile di apprendistati efficaci, con particolare attenzione alla coerenza con le necessità di sviluppo sul territorio e con le esigenze delle PMI.

Una proposta concreta in questa direzione è stata recentemente avanzata da Forma, l’associazione degli enti nazionali di formazione professionale, Si tratta di un piano che prevede azioni mirate su due principali platee di giovani (più una di adulti), calibrate sulle specifiche esigenze e in funzione dei livelli di occupabilità. La prima è verso gli under 25 disoccupati che hanno lasciato precocemente la scuola. Per essi si prevede l’offerta di un apprendistato formativo che porti al diploma professionale nei percorsi IFP. La seconda azione riguarda i NEET under 30 con diploma di istruzione secondaria (la componente più ampia dei giovani che non studiano e non lavorano) ai quali offrire la possibilità di accesso a percorsi di apprendistato duale di terzo livello per il conseguimento di un diploma ITS.

Si tratta di una proposta solida e coerente per chi si trova in difficoltà nella transizione scuola-lavoro ma ha buone potenzialità per riorientare il proprio percorso rafforzando competenze sia direttamente spendibili sia di tipo avanzato (in funzione dello sviluppo presente e futuro del territorio). E’ su politiche di questo tipo che si gioca la differenza tra considerare le nuove generazioni come parte attiva di un paese che cresce o percettori passivi del reddito di cittadinanza.

Possiamo pensare allo spazio strategico dell’uso delle risorse di un paese formato da due assi. Il primo è quello che distingue le politiche di welfare passive e attive, il secondo contrasta età più giovani da quelle più anziane. Rispetto agli altri paesi avanzati il nostro tende a collocarsi in basso a sinistra nello spazio formato da tali due dimensioni, caratterizzandosi per una particolare combinazione di politiche passive e di spesa pubblica destinata alle generazioni più mature. La diagonale principale coglie la direzione passato-futuro ed è quella lungo cui spostare il Paese potenziando gli investimenti in politiche attive e verso le nuove generazioni.

Aiutare le nuove generazioni a riorientare in modo più solido il proprio percorso formativo e professionale è il modo migliore per aiutare il Paese, con le risorse di Next Generation Eu, a riposizionarsi nello spazio strategico più favorevole al percorso di sviluppo nel medio e lungo periodo.