Topic: giovani

Fare, fiducia e futuro, tutte le “f” della felicità

Se c’è una cosa che tutti vogliamo è essere felici. Nessuno ha però ben chiaro cosa sia veramente la felicità, come la si ottenga e come misurarne la quantità posseduta. La salute e il benessere materiale aiutano, ma non sono garanzia di felicità. Le fiabe sono piene di principesse giovani e belle ma tristi.

Il concetto è difficile da tradurre in modo operativo perché molto soggettivo e perché, per il suo  forte impatto evocativo, il termine tende ad essere inflazionato. Esistono disparati indicatori proposti per misurare la felicità di un paese o di una città, che però hanno alla base più una riflessione su cosa la ricchezza economica non misura anziché su come la felicità possa essere misurata. Nel migliore dei casi si tratta quindi di indicatori di benessere che includono anche la dimensione non materiale e soggettiva.

Un portale pubblico dei cervelli in fuga

Il compito principale della politica dovrebbe essere quello di mettere le nuove generazioni nelle condizioni di esprime al meglio le proprie potenzialità. E’ triste continuare a constatare che questo potenziale i giovani italiani riescono invece ad esprimerlo al meglio quando escono dai confini nazionali. Ad andarsene sono sempre di più anche i neodottori negli indirizzi tecnico-scientifici e nelle aree più avanzate del paese. Lo confermano i dati dell’ultimo Rapporto Specula sui laureati lombardi, ove si afferma inoltre che  essi “si adattano ad ogni occasione, ma sono anche sempre più pronti ad intraprendere nuove strade, alla ricerca di migliori possibilità”. Tra le nuove strade intraprese – per portarsi il più lontano possibile dalla rassegnazione – c’è sia chi cerca di inventarsi qualcosa di nuovo per far fruttare il proprio talento in Italia sia chi si sposta alla ricerca di territori più fertili.

In politica non basta parlare “dei” giovani

Gli elettori, per principio, hanno sempre ragione. Una parte della sinistra non sembra però accettare l’esito delle primarie. C’è chi mette sotto accusa Pisapia per non essersi ricandidato o non aver preparato la successione. L’attuale sindaco ha vinto le elezioni del 2011 aprendo una finestra di opportunità per Milano. Il suo stile è sempre stato quello di chi si mette al fianco e incoraggia i processi evolutivi della città senza forzarli e tantomeno orientarli verso obiettivi di parte. Chi oggi lo critica mostra di non aver mai pienamente capito il suo valore. C’è poi chi se la prende con il buon Majorino per non essersi fatto da parte. La sua è stata la campagna più bella, viva, partecipata. Chi desiderava solo nomi imposti dall’alto si è trovato a fare i conti con una parte rilevante di cittadini che ha invece apprezzato questo movimento dal basso.

Chi fa la guerra ai trentenni

Ignorati dalla politica

Iniziamo dall’ignoranza politica. Gran parte della classe dirigente italiana non sa cosa siano le nuove generazioni, un po’ per carenza di propri strumenti culturali e un po’ per disinteresse. Quello che conta per chi ha posizioni di potere e influenza in questo paese è aumentare (o quantomeno mantenere) quello che ha conquistato e fermare tutto ciò che può mettere in discussione quanto ha raggiunto. In un sistema rigido, poco aperto al cambiamento, con meccanismi di ricambio inceppati, il vantaggio va tutto alle componenti della società orientate a difendere le rendite del passato a discapito di chi vuole produrre nuovo benessere futuro. L’attenzione è semmai concentrata sui propri singoli figli. In un paese in cui l’ascensore sociale è bloccato, in cui il successo sociale dei giovani è più legato alle risorse dei genitori che al proprio impegno e alle proprie capacità, i “figli di” hanno un vantaggio competitivo rispetto agli altri. Perché allora politici interessati non al bene comune ma al proprio potere e al bene unico dei propri figli, dovrebbero realizzare misure che tolgono a tutti gli ostacoli dalla pista annullando le corsie preferenziali per i propri protetti? Questo non significa che scientemente la politica cerchi di mantenere lo status quo, ma è poco motivata a cambiarlo e ha poche spinte dalla società italiana per farlo. Arriviamo così al tema dell’iperprotezione da parte dei genitori, che non riguarda solo i politici.

Iperprotetti dai genitori

Esiste nel nostro Paese una grande disponibilità di aiuto da parte di madri e padri italiani, culturalmente predisposti a dare di tutto e di più ai propri figli in cambio del piacere di sentirsi parte attiva nella costruzione del futuro che immaginano per essi. Il rischio è però quello di scadere, appunto, nell’iperprotezione e nell’eccesso di protagonismo sul destino dei figli accentuando dipendenza e insicurezza. Al genitore medio italiano non importa davvero quali sono gli obiettivi dei figli e come incoraggiarli a realizzarli seguendo la propria strada, ha invece bene in mente cosa desidera lui per il proprio figlio e ha le sue idee su come farglielo ottenere. Allo stesso modo la classe dirigente italiana non ha ben chiaro quali siano le sensibilità specifiche e le vere potenzialità delle nuove generazioni, ha invece bene in mente cosa essa si aspetta dai giovani in funzione della propria idea (superata) di paese. Nessuno quindi fornisce incoraggiamento e supporto alle nuove generazioni italiane per mettere a frutto le proprie capacità e costruire un futuro coerente con le proprie sensibilità e i propri desideri. La conseguenza è che i giovani italiani rimangono ai margini o il futuro vanno a costruirselo altrove.

LEGGI QUI L’ARTICOLO COMPLETO

Ripartire dai giovani per far rinascere il Sud

«Fino a qualche anno fa, tra i record negativi del Mezzogiorno non c’erano quelli demografici. Storicamente il Sud è stato una riserva demografica per il nostro paese». Così scrivevamo nei primi mesi del 2006 in un articolo su lavoce.info nel quale si mostrava – sulla base dei dati parziali del 2005 – come si stesse chiudendo la lunga epoca in cui l’Italia meridionale era stata una delle aree più feconde d’Europa. Erano le prime evidenze di una rivoluzione della geografia della demografia italiana del tutto imprevista. Basti pensare che le previsioni Istat del 2001 delineavano uno scenario in cui, si legge nel rapporto: il numero medio di figli per donna mantiene «livelli più elevati nelle Regioni tradizionalmente più prolifiche (Campania, Calabria e Sicilia), ai quali corrispondono età medie alla nascita ben al di sotto della media nazionale; per contro, nelle Regioni del Centro-Nord (…) le previsioni del tasso di fecondità totale sono più basse». Pochi anni dopo queste affermazioni la realtà risultava però già molto diversa. Il 2005 è l’anno in cui la secolare forbice tra Sud e Nord si chiude, mentre secondo le previsioni Istat in tale anno il numero di figli per donna avrebbe dovuto trovarsi attorno ad una media di 1,6 figli nel Sud e a 1,2 nel Nord.