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Così l’Italia è rimasta senza giovani

I cambiamenti mondiali

Via via che attraversiamo il XXI secolo, la questione demografica si sposta dall’eccesso di crescita del numero di abitanti del pianeta all’impatto pervasivo dell’invecchiamento della popolazione.

Nella seconda metà del secolo scorso, la popolazione mondiale è passata da 2,5 a 6,1 miliardi. Se lungo tutta la storia umana la nostra specie è cresciuta fino ad arrivare a 2,5 miliardi nel 1950, in solo mezzo secolo si è aggiunta una popolazione 1,4 volte più grande. Mai si era vista una crescita demografica così intensa in passato, ma verosimilmente non la si vedrà più nemmeno in futuro. Le più recenti proiezioni delle Nazioni Unite (World Population Prospects 2019) indicano una popolazione mondiale di 9,7 miliardi nel 2050. Significa che per ogni persona presente nel 2000, se ne aggiungerà un’altra mezza abbondante (0,6 circa) nel corso della prima metà del XXI secolo.

La crescita virtuosa che passa dai giovani

Essere protagonisti della costruzione di un mondo migliore è, da sempre, l’ambizione più alta delle nuove generazioni. I Paesi e le organizzazioni che mettono i giovani nelle condizioni di cogliere responsabilmente e attivamente tale sfida possono contare sulla migliore energia positiva disponibile in natura per essere vincenti nel proprio tempo, produrre crescita sostenibile, mettere le basi di un futuro solido.

Le nuove generazioni sentono il bisogno di mettersi alla prova e di produrre un proprio impatto riconoscibile nella realtà che li circonda, più di quanto riescano oggi nei fatti ad esprimere. Pensare, dal punto di vista sociale, che i giovani siano figli da proteggere o, dal punto di visa economico, siano nuova forza lavoro meramente utile per sostituire chi va in pensione, è l’errore di prospettiva più fatale che famiglie e aziende italiane possano fare.

Le nuove generazioni vanno intese come il nuovo che produce nuovo, allargando così le opportunità di tutti. Non vengono per essere uguali alle generazioni precedenti. Sono il mezzo attraverso cui la società fa esperienza del mondo che cambia e trova soluzioni nuove per produrre nuovo benessere. Se messe nelle condizioni adeguate trasformano il cambiamento in miglioramento collettivo, ma sono anche la parte della popolazione che maggiormente rischia di pagare le conseguenze di una società bloccata, di un paese in declino, di un patrimonio naturale che si impoverisce.

Se c’è un tema in grado oggi di mettere in relazione virtuosa sensibilità e valori dei giovani con le questioni aperte del nostro tempo – con alto potenziale innovativo sui modelli di produzione e consumo – è proprio quello ambientale, della promozione della salute e della salvaguardia della bellezza della biodiversità del pianeta.

Sono oramai molti e consistenti i dati che forniscono evidenza empirica del consolidamento di un atteggiamento particolarmente attento verso pratiche e politiche di sviluppo sostenibile, che va però aiutato a trovare maggiore consapevolezza e strumenti per esprimersi in modo efficace.

Un dato che trova ormai conferma in molte ricerche negli Stati Uniti e in Europa, compresa l’Italia, è la crescente percentuale di giovani che affermano di preferire un lavoro in un’azienda socialmente responsabile, attenta e impegnata in campo ambientale, anche se questo dovesse comportare uno stipendio più basso. Questa sensibilità trova riscontro anche nei comportamenti di consumo, non solo rispetto alla riduzione degli sprechi ma nelle stesse scelte d’acquisto. I Millennials e, ancor più, i membri della Generazione Z, sono in modo crescente attenti all’impatto sociale e ambientale dei prodotti, mettendo in conto anche la possibilità di pagare di più per il valore green di un bene. Si tratta di evidenze ancor più rilevanti se si pensa che le condizioni finanziare delle nuove generazioni non sono particolarmente rosee e che, anzi, la possibilità di ottenere un reddito adeguato continua ad essere una delle preoccupazioni principali dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Questo significa, anche, che se le condizioni economiche e le opportunità occupazionali delle nuove generazioni fossero migliori, la spinta verso un nuovo modello di sviluppo più sostenibile sarebbe ancor più forte.

Più in generale, se la crescita del XX secolo è stata centrata soprattutto sulla quantità, i processi più promettenti di cambiamento del XXI secolo mettono invece soprattutto a valore la qualità. Il benessere di un territorio è sempre meno misurabile in termini di solo prodotto interno lordo, mentre assumono sempre più importanza altre dimensioni legate alla qualità della vita, alle relazioni interpersonali, all’ecosistema. Così come, nel contesto lavorativo, il benessere dei dipendenti e il loro legame con l’azienda va sempre più oltre lo stipendio e acquista sempre più importanza la possibilità di armonizzare positivamente l’impegno professionale con gli altri ambiti di vita, ma anche potersi identificare con i valori dell’azienda e portare al suo interno le proprie sensibilità.

Non c’è dubbio che i Paesi e le organizzazioni di maggior successo nei prossimi decenni saranno quelli maggiormente capaci di far diventare, in modo coerente e credibile, leva per i propri processi di crescita l’energia positiva delle nuove generazioni, mobilitata dal loro desiderio di contribuire ai processi di miglioramento del mondo in cui vivono.

Elezioni europee. I giovani chiedono risposte su lavoro e crescita

La partecipazione al voto dei giovani è considerata importante, al di là dei risultati finali sulla composizione del nuovo parlamento dopo il trauma della Brexit, come segnale di quanto il progetto europeo sia ancora vivo e possa essere rilanciato, migliorato e proiettato verso il futuro.

Le attese dell’Europa e i voti (e i volti) dei giovani

Un’Europa divisa e debole non aiuta a costruire un futuro migliore per le nuove generazioni. Questa è una consapevolezza ben presente nei giovani italiani. Del resto i dati demografici ci dicono che siamo nel secolo di maggior riduzione del peso di questo continente nel mondo. La popolazione europea sul totale del pianeta ha toccato il punto più elevato nel XX secolo rispetto a tutto il millennio precedente, salendo sopra il 25%. Ma già all’entrata di questo millennio si trovava scesa sotto il 15%, livello analogo a quello dei suoi secoli più bui. Si trova oggi sotto il 10 per cento, con in corso un processo di lenta riduzione conseguenza della persistente denatalità. L’Italia era il decimo Paese più popolato al mondo nel 1950 e ora non entra nei primi trenta. La Germania, il Paese più popoloso dell’Unione, è oggi al sedicesimo posto ed è prevista scendere al venticinquesimo verso la metà del secolo. Eppure l’Europa unita manterrebbe il maggior peso del mondo occidentale, superiore agli Stati Uniti, inferiore solo alla Cina e all’India.

Questi numeri è utile tenerli sempre ben presenti perché aiutano a mettere assieme i due elementi più forti che abbiamo a disposizione nel delineare il nostro futuro. Il primo è, appunto, la demografia che consente di anticipare in modo affidabile alcuni parametri rilevanti degli scenari a cui andiamo incontro. Il secondo, ancor più importante e informativo su quello che saremo a metà di questo secolo e nella sua seconda parte, è ciò che noi desideriamo collettivamente per il nostro futuro in coerenza con le grandi trasformazioni in atto. Quello che i giovani vorrebbero non è, allora, il fallimento del progetto europeo ma una sua piena evoluzione verso gli Stati Uniti d’Europa. Vorrebbero, ancor più, essere messi nella condizione di sentirsi e rendersi protagonisti di un vero rilancio di tale progetto. Il “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo, tra i vari temi monitorati e analizzati in questi anni, ha rivolto una particolare attenzione all’atteggiamento dei giovani verso l’Europa. Ha messo in luce i limiti, le contraddizioni e le frustrazioni su come il progetto europeo è stato sinora inteso e interpretato. Ai giovani non piace l’Europa che pone come priorità i parametri finanziari e i vincoli burocratici. Non hanno trovato convincente il modo in cui è stata affrontata la crisi economica. Soprattutto non hanno ben percepito gli effetti di un’azione efficace dell’Unione Europea sul miglioramento delle condizioni delle nuove generazioni all’interno dei vari Paesi membri. Questo vale in particolare in Italia, dove continuiamo a registrare il record di under 35 che vorrebbero lavorare, ma che non riescono a trovare adeguato inserimento attivo nei processi di crescita del Paese.

La responsabilità maggiore viene attribuita, in varia misura, ai governi italiani che si sono succeduti negli ultimi vent’anni. I dati di un’indagine di approfondimento del Rapporto giovani condotta a febbraio di quest’anno, mostrano come la fiducia nell’attuale Governo italiano sia pari al 36,7% tra i giovani (età 18-30 anni), contro il 38,7% su tutto il campione intervistato (18-75 anni). È interessante notare, inoltre, come tra i giovani il dato sia più favorevole verso l’Unione Europea (44,3%) mentre risulti meno positivo tra la popolazione complessiva (33,2%). Ma la fiducia scende molto soprattutto tra i giovani con titolo di studio più basso e in condizioni economiche più svantaggiate, ovvero tra coloro che rischiano di rimanere ai margini dei grandi processi di cambiamento di questo secolo.

Questi dati suggeriscono, in particolare, che va spostato verso l’alto l’incontro tra domanda e offerta di Europa. I giovani chiedono un’Europa migliore, rinnovata e più lungimirante. Se nel XX secolo il progetto europeo è stato inteso soprattutto come vincolo a stare assieme per costruire un presente libero dalle divisioni e dai rischi di conflitto del passato, nel XXI deve trovare nuove ragioni, più orientate al futuro e alle opportunità da costruire con le nuove generazioni.

L’Europa unita può dare ricchezza ai processi di cambiamento che interessano tutto il pianeta, ma deve farlo con un suo ruolo distintivo. Sempre i dati del Rapporto giovani ci dicono che per i giovani italiani l’identità europea è soprattutto una combinazione di cultura, libertà e centralità data alla persona. Ma questi valori devono poter essere declinati in modo vincente nei confronti delle sfide che pone questo secolo, su come cambiano le forme di partecipazione democratica, sul governo dei flussi migratori, sulle nuove disuguaglianze, sull’impatto della rivoluzione digitale, sulla cura del pianeta e lo sviluppo sostenibile. Si tratta di temi che interessano, e in parte inquietano, fortemente le nuove generazioni e che devono trovare la giusta collocazione all’interno di un progetto solido e credibile che evolva verso gli Stati Uniti d’Europa. Questo è il dibattito di cui oggi abbiamo bisogno e questa è la prospettiva che dobbiamo incoraggiare con il voto del 26 maggio.