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I ragazzi e il Covid: “Poche informazioni e fame di normalità”

L’Italia è nel pieno della seconda ondata di pandemia e tra i fattori che la alimentano, come indicano vari esperti, ci sono soprattutto le interazioni sociali fuori dagli ambienti controllati. Classi scolastiche e luoghi di lavoro sono contesti in cui le norme sono maggiormente applicate e rispettate. Gli stessi studenti e lavoratori si trovano però poi ad usare mezzi pubblici nei quali il distanziamento è un optional e a frequentare spazi di aggregazione.

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Da NEET a generazione “imprendente”. Giovani nello scenario postpandemico

Le nuove generazioni italiane hanno subito nel tempo un progressivo indebolimento della capacità di mettere le proprie energie e intelligenze al servizio dei più avanzati processi di sviluppo, conseguenza di fragilità su tutta la transizione scuola-lavoro. L’Italia è così diventata uno dei Paesi con maggior percentuale di NEET (gli under 35 che non studiano e non lavorano). Condizione ulteriormente cresciuta con la grande recessione del 2008-13 e rimasta, dopo la crisi, tra le peggiori in Europa.

Il mondo cambia solo coi giovani. La ripartenza dell’Italia

L’Italia è uno dei Paesi avanzati che meno sono riusciti a intraprendere un solido percorso di crescita, nel senso più inclusivo, nel primo tratto di questo secolo. Non è solo una questione di Pil rimasto su livelli modesti – sia rispetto al passato che nei confronti dei Paesi con cui ci confrontiamo – ma anche di indicatori sociali, demografici e del mercato del lavoro, da tempo inchiodati in coda alle classifiche europee. Non riuscendo ad aggiustare un percorso che la stava portando ostinatamente fuori rotta – con crescente vulnerabilità rispetto a vecchi e nuovi rischi, erosione del senso di fiducia e di visione positiva del futuro – nella prima parte del 2020 il Paese ha deciso di fermarsi. Una sorta di pit stop per cambiare le gomme e reimpostare la strategia di un rientro in corsa più competitivo.

Un nuovo ecosistema del lavoro per non impoverire il Mezzogiorno

Con un post su facebook pubblicato a fine settembre 2019 veniva data dal sindaco di Milano, Giuseppe Sala, la notizia del raggiungimento di quota 1 milione e 400 mila residenti a Milano. Un traguardo raggiunto con l’iscrizione di Andrea, neo cittadino di origini catanesi. Nello scenario pre-pandemia il Sud Italia era l’area che più perdeva giovani, mentre Milano faceva parte di poche città del centro-nord con ventenni e trentenni in crescita grazie alla propria capacità attrattiva. Nel complesso sono stati circa 250 mila i laureati a lasciare il Mezzogiorno nei primi due decenni di questo secolo. Questo impoverimento del capitale umano è allo stesso tempo effetto e causa delle difficoltà e delle contraddizioni dello sviluppo di tale area.

La sfida è attrarre i giovani

L’invecchiamento della popolazione è uno dei processi più caratterizzanti del XXI secolo. Tutto il mondo è in transizione verso una società più matura, con presenza di persone ricche di età molto più abbondante che in passato. Si tratta della conseguenza positiva del vivere sempre più a lungo. Questo processo è però anche accentuato dalla riduzione delle nascite, risulta quindi particolarmente intenso in Europa e ancor più in Paesi, come l’Italia, nei quali la fecondità è scesa molto sotto la soglia di due figli per donna che corrisponde all’equilibrio tra generazioni. Ne deriva una crescita della popolazione anziana non solo in termini assoluti ma anche relativi, in contrapposizione ad un indebolimento della consistenza delle generazioni più giovani.