Posts By: Alessandro Rosina

Quell’energia sociale spontanea che sgorga nelle strade di Milano

 

Una parte sempre più rilevante della nostra vita di comunicazione e relazione si è spostata negli ultimi dieci anni sul web. I membri delle nuove generazioni trascorrono più tempo sui social network che a conversare amabilmente con compagni di studio, colleghi di lavoro e vicini di casa. Ma è in crescita anche la presenza in rete delle persone più mature. Molti di coloro che non hanno mai usato internet per lavoro né tantomeno ai tempi della scuola, scoprono i social network dopo la pensione e non solo per i contatti con figli e nipoti, ma sempre più anche per interagire con coetanei e coltivare nuovi interessi e amicizie. Le due dimensioni, quella della rete e della vita reale, non sono necessariamente in contrapposizione o indipendenti, possono anzi in molti casi arricchirsi vicendevolmente. Lo dimostra il successo delle “social street” messo in evidenza da una recente ricerca coordinata da Cristina Pasqualini, ricercatrice dell’Università Cattolica.

La sharing economy è molto più di una app

Fino a pochi anni fa nessuno parlava di sharing economy, oggi è uno dei temi più in voga nei dibattiti sui nuovi processi di cambiamento economico e sociale. C’è chi parla di nuovo paradigma e chi di nuovo capitalismo svuotato dal concetto di possesso. La proprietà nelle epoche passate garantiva sicurezza e potere.

Politiche per una generazione da rimettere in gioco

L’acronimo, come ricorda il “Rapporto sul mercato del lavoro 2014” del CNEL, nasce poco dopo il 2000 per indicare la quota di giovani “Not in Education, Employment or Training”, vale a dire gli under 30 che non stanno utilizzando il proprio tempo né per migliorare la propria formazione, né per mettere in pratica le proprie competenze nel mercato del lavoro e contribuire alla crescita del paese. La quantità di giovani lasciati in tale inoperosa attesa era già elevata prima della crisi ma è diventata poi via via una montagna sempre più elevata: la più alta in Europa dopo la Grecia. Siamo quindi uno dei paesi che maggiormente si sono distinti in questi anni nella capacità di trasformare i giovani da potenziali soggettivi attivi a costo sociale.

Gestire bene l’immigrazione aiuta il Paese a crescere

Nelle pagine conclusive di “Se questo è un uomo”, uno dei libri più utili per capire l’abisso della condizione umana, Primo Levi racconta gli ultimi giorni di vita ad Auschwitz. I nazisti, pressati dall’imminente arrivo delle truppe alleate, avevano evacuato il campo lasciando solo gli ammalati. Vari drammatici giorni di freddo, fame e stenti trascorsero prima dell’arrivo dei liberatori. Scrive l’autore: “Venne l’oscurità; di tutto il campo la nostra era l’unica camera munita di stufa, del che eravamo assai fieri. Molti malati di altre sezioni si accalcavano alla porta”. Quale fu la reazione? Non furono lasciati entrare, ma allontanati con fermezza e abbandonati al loro destino. Non c’era spazio per tutti. L’ingresso di altre persone avrebbe ridotto drasticamente le probabilità di sopravvivenza di chi si si era già stabilmente insediato nella camera e aveva contribuito a renderla più vivibile rispetto a tutte le altre.

La generazione stage chiede vero lavoro

Il lavoro per un paese è come il vento per una barca a vela. Se non soffia, la barca rimane ferma. Ma ciò accade anche se le vele, per imperizia, non sono ben disposte. E’ inoltre vero, citando Seneca, che nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa dove andare. In questi anni abbiamo sentito molte discussioni sul vento che mancava o che cambiava, ma poco si è ragionato sulla direzione da intraprendere. Irrisolta è rimasta, in particolare, la questione di quale lavoro per quale modello di sviluppo.