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Articolo di Alessandro Rosina che fa il punto su dati, caratteristiche e diffusione delle unioni libere in Italia.
Il Mattino, 15 gennaio 2016, Pg. 1 e 5.
Articolo di Alessandro Rosina che fa il punto su dati, caratteristiche e diffusione delle unioni libere in Italia.
Il Mattino, 15 gennaio 2016, Pg. 1 e 5.
Con il confronto pubblico tra Majorino e Sala al cinema Anteo, si apre stasera la competizione per designare il candidato del centrosinistra. Una cosa è certa, Milano rispetto a cinque anni fa è molto più convinta delle proprie potenzialità, grazie a Pisapia, grazie ad alcuni suoi assessori chiave, grazie all’esito positivo di Expo, ma prima di tutto, sia chiaro, grazie a se stessa. La città è scesa in campo con la voglia di liberare le proprie energie positive e di dimostrare al mondo, nonostante la crisi, di saper far proprie le sfide del XXI secolo.
«Fino a qualche anno fa, tra i record negativi del Mezzogiorno non c’erano quelli demografici. Storicamente il Sud è stato una riserva demografica per il nostro paese». Così scrivevamo nei primi mesi del 2006 in un articolo su lavoce.info nel quale si mostrava – sulla base dei dati parziali del 2005 – come si stesse chiudendo la lunga epoca in cui l’Italia meridionale era stata una delle aree più feconde d’Europa. Erano le prime evidenze di una rivoluzione della geografia della demografia italiana del tutto imprevista. Basti pensare che le previsioni Istat del 2001 delineavano uno scenario in cui, si legge nel rapporto: il numero medio di figli per donna mantiene «livelli più elevati nelle Regioni tradizionalmente più prolifiche (Campania, Calabria e Sicilia), ai quali corrispondono età medie alla nascita ben al di sotto della media nazionale; per contro, nelle Regioni del Centro-Nord (…) le previsioni del tasso di fecondità totale sono più basse». Pochi anni dopo queste affermazioni la realtà risultava però già molto diversa. Il 2005 è l’anno in cui la secolare forbice tra Sud e Nord si chiude, mentre secondo le previsioni Istat in tale anno il numero di figli per donna avrebbe dovuto trovarsi attorno ad una media di 1,6 figli nel Sud e a 1,2 nel Nord.
Nei primi otto mesi del 2015 si sono registrati circa 45 mila decessi in più rispetto all’anno precedente. Un dato che ha suscitato molto scalpore sui mass media. Ma come dobbiamo interpretarlo?
Il conteggio continuativo del numero dei decessi, attraverso un apposito registro, inizia nelle città italiane del medioevo. L’esigenza, prima ancora che per questioni amministrative, nasce dalla necessità di identificare per tempo la possibile diffusione di una epidemia. Se il numero di morti giornalieri, settimanali, mensili, rimaneva pressoché costante, si poteva rimanere relativamente tranquilli. Se invece c’erano i segnali evidenti di una crescita era il caso di predisporre velocemente misure di profilassi e contenimento del contagio. La mortalità in passato era elevatissima anche nei periodi di “normalità” ma le epidemie ricorrenti potevano avere effetti devastanti sulla struttura demografica, sull’organizzazione sociale e sul sistema economico.
L’Italia deve ripartire dopo un periodo di bassa crescita interrotto da una prostrante crisi ormai quasi alle spalle. Ma da dove e come ripartire? Tra le poche e confuse idee che circolano sulla risposta da dare, le convinzioni più forti indicano come fattore di traino per il rilancio le aree economicamente più dinamiche e le nuove generazioni. Sul come fare le idee sono ancora meno chiare ma si sta imponendo sempre di più la tesi che la punta avanzata della soluzione per far ripartire l’Italia attraverso i giovani siano le start-up. Il paese che ha il record di Neet e di Expat che non ritornano, ritrova ottimismo quando restringe lo sguardo su quelle parti del territorio in cui una quota molto ristretta di giovani riesce a far diventare un’idea innovativa una impresa di successo. Teniamo però presente che di giovani noi ne abbiamo meno degli altri paesi. Consideriamo poi che la percentuale di laureati tra i giovani è più bassa in Italia rispetto al resto del mondo avanzato. Aggiungiamo, infine, che i ragazzi con idee innovative sono una piccolo sottoinsieme e che solo una idea su dieci sopravvive e una su cento raggiunge davvero il successo.