ROMA. C’è un tema, nei tempi confusi e incerti in cui viviamo, che sembra in grado di catturare un interesse trasversale delle nuove generazioni e muoverle verso un impegno di miglioramento collettivo e senza confini: è quello della salvaguardia del patrimonio naturale del pianeta. Esiste un ampio convincimento del valore comune che esso rappresenta ma anche dei rischi legati all’impatto dei cambiamenti climatici, in larga parte prodotti dai nostri comportamenti.
Posts By: Alessandro Rosina
El deficit de natalidad
Hay un objetivo, equivalente al 2,1, que resulta vital para la solidez del futuro social y económico de Europa, pero que ningún Estado miembro de la Unión respeta desde hace mucho tiempo. No estamos hablando del valor de la ratio entre deuda y producto interior bruto (PIB), sino del número medio de hijos por mujer.
Più ottantenni che nuovi nati (e altri dati salienti sullo squilibrio demografico italiano)
Secondo i dati recentemente pubblicati dall’Istat¹ nel 2017 sono nati in Italia 458.151 bambini. E’ un numero alto? Basso? Va bene così? Può forse essere utile fornire alcuni riferimenti per orientarsi nella lettura di tale dato (e poi ognuno si faccia la propria opinione).
La smobilitazione del paese dal basso
Partiamo da una considerazione. Se qualsiasi bene economico prodotto nel nostro paese subisse un crollo, quello che al più si rischia è perdere un settore economico strategico. Anche le nascite possono essere considerate un bene prodotto. Se si azzerano è però tutto il paese, non solo qualche settore produttivo, che chiude. L’auspicio che chiuda può essere espresso solo da chi pensa che l’Italia non abbia le potenzialità per portare una dote specifica di creatività, benessere e bellezza nei processi di sviluppo del mondo in questo secolo (e nei futuri). Se siete tra costoro non serve che leggiate il resto di questo articolo.
Pensando di condividere, quindi, l’idea che l’Italia debba giocarsi al meglio le proprie carte per produrre sviluppo e benessere in questo secolo, la questione che si pone riguarda il ruolo che assegniamo alla demografia. Essere 60 milioni, come oggi, o dieci milioni in più o in meno fa la differenza? Una delle obiezioni più comuni rivolte a chi si preoccupa della bassa natalità è che se diminuiamo, in un mondo che invece cresce, non è in fondo così grave. Questa obiezione ha alla base elementi condivisibili ma contiene anche un errore fatale. La diminuzione delle nascite non fa diminuire una popolazione in modo proporzionale a tutte le età, la erode dal basso: gli anziani rimangono (anzi aumentano), mentre si riduce la consistenza delle nuove generazioni. Si accentua quindi il peso della popolazione più vecchia, producendo squilibri generazionali che più si allargano e più costituiscono un freno alla crescita economica e alla sostenibilità del sistema sociale.
Cinque coordinate per orientarsi
Dopo questa premessa passiamo allora ai dati. Quanto possiamo considerare basso il numero delle nascite? Proviamo a dare cinque punti di riferimento.
Primo: le nascite di oggi sono meno della metà dei nati in Italia a metà degli anni Sessanta. Quindi il crollo di questo “bene” è stato piuttosto consistente. Nello stesso periodo il numero medio di figli per donna è sceso da 2,7 a 1,3.
Secondo: il numero di nati registrati nel 2017 (ma anche i primi dati del 2018 non sono in controtendenza) è il più basso dall’Unità d’Italia in poi, compresi i due conflitti mondiali. Ed è dal 2013 che ogni anno successivo battiamo al ribasso tale record negativo (neodemos 12/11/2014 “come può uno scoglio arginare il mare?” La recessione delle nascite e gli effetti del bonus bebè).
Terzo: in altri Paesi questa diminuzione drastica non c’è stata. Ad esempio in Francia il numero medio di figli per donna è rimasto vicino a due (livello di equilibrio generazionale), con la conseguenza che il contingente delle generazioni nate nell’ultimo mezzo secolo risulta sostanzialmente stabile.
Quarto: se si confronta il numero desiderato di figli tra giovani-adulti italiani e coetanei europei i livelli sono del tutto simili e tale valore è in media attorno a 2. Questo significa che in Italia non solo si fanno meno figli rispetto alla media europea ma anche rispetto al numero desiderato dai giovani e dalle coppie italiane.
Quinto: lo squilibrio strutturale della popolazione italiana è arrivato a livelli tali che oggi, per la prima volta, il numero dei nuovi nati è sceso sotto quello degli ottantenni. Le persone residenti in Italia di 80 anni risultano infatti essere 482 mila al primo gennaio 2018, contro 458 mila nati nel corso del 2017.
Il peso degli squilibri sul futuro
I dati Eurostat consentono di fare un confronto con gli altri paesi europei mettendo in relazione ad inizio 2017 chi ha 80 anni con coloro che non hanno ancora compiuto il primo compleanno (che provengono dai nati nel 2016). Come si vede in Figura 1, si va da paesi, come l’Irlanda, in cui i nati vincono con un rapporto superiore a 3 a 1 sugli ottantenni, a paesi in cui vincono 2 a 1 (come Svezia e Regno Unito), fino al valore più basso dell’Italia. Poi, con le nascite del 2017, siamo scivolati ancor più giù, diventando il primo paese in Europa ad avere al suo interno più ottantenni che nuovi nati.
Siamo, insomma, il paese che più sta indebolendo le componenti (le nuove generazioni) che dovranno trainare la crescita e finanziare il sistema di welfare nei prossimi decenni, a fronte di un continuo aumento della popolazione nella fase della vita in cui si assorbe ricchezza (età anziana).
Detto in altro modo, se la qualità del futuro dipendesse più dal contributo degli ottantenni che dalle fasce più giovani, allora saremmo quelli che stanno mettendo le basi più solide per il benessere futuro. Se non è così allora forse la denatalità eccessiva ci sta inguaiando e dovremmo mettere urgentemente in atto serie e incisive contromisure attivando tutte le leve disponibili ¹.
Comunque questi sono i dati e ognuno tragga le proprie conclusioni.
Battere la denatalità infelice
L’Italia sembra avere una particolare predisposizione – al di là dei nostri desideri e delle nostre potenzialità – a generare spirali negative, e quella demografica è la spirale perfetta nel vincolare verso il basso crescita e benessere futuro. Gli squilibri prodotti sono tali che per la prima volta i nuovi nati sono meno degli ottantenni. Al primo gennaio 2018 le persone di 80 anni residenti in Italia risultano essere 482 mila, mentre le nascite nel corso del 2017 sono state 458 mila. Siamo i primi in Europa a veder realizzato tale sorpasso. Tanto per avere un ordine di paragone, nel Regno Unito e in Svezia i nuovi nati vincono 2 a 1 sugli ottantenni. Questi squilibri non sono prodotti dal fatto di vivere più a lungo (abbiamo una longevità molto simile alla Svezia), ma dalla nostra maggior denatalità.
Il Paese che dimentica i giovani
C’è una crisi che precede la grande recessione, che la congiuntura negativa ha inasprito e che prosegue anche dopo, è quella che investe le nuove generazioni italiane. Una crisi che più che a fattori contingenti esterni va attribuita a persistenti limiti strutturali (e culturali) interni.