Posts By: Alessandro Rosina

Elezioni politiche del 25 settembre: le proposte per i giovani

Adottando una accezione molto ampia, potremmo dire che tutte le proposte di un programma elettorale riguardano le nuove generazioni, nella loro condizione attuale e in quella futura di adulti e anziani. Restringendo, potremmo occuparci delle proposte che hanno, direttamente o indirettamente, ricadute sulla condizione degli attuali giovani. Qui, anche per lo spazio limitato disponibile, ci limitiamo alle misure per i giovani in quanto giovani ed espressamente rivolte ai giovani. Ovvero quello che partiti e movimenti (i principali secondo i sondaggi disponibili) hanno messo in capitoli dei loro programmi esplicitamente dedicati a questa componente della popolazione (indicativamente dai 15 ai 35 anni). Questo consente anche di capire cosa la politica intende per azioni a favore delle nuove generazioni.

Un piano inclinato che penalizza i progetti di vita dei giovani

Supponiamo che l’Italia sia un centometrista finora riuscito a mantenere un livello di competitività comparabile con gli altri atleti di punta. Cosa succederebbe, però, se la sua corsia cominciasse ad avere un dislivello maggiore rispetto alle altre e crescente nel tempo? Fuor di metafora, l’Italia dovrà riuscire a generare sviluppo economico, innovazione, benessere sociale, non solo con una popolazione anziana in continuo aumento, ma soprattutto con un indebolimento inedito e accentuato della popolazione in età attiva.

L’Italia è, da tempo, diventata un caso di studio in tutto il mondo per la sua persistente bassa natalità e per gli squilibri generazionali conseguenti. Correva l’anno 2005 quando The Economist, in un ampio servizio dal titolo “Addio, Dolce Vita” scriveva che “Italy’s demographics look terrible”. Veniva sottolineato come con una media di 1,3 figli per donna il Belpaese stesse andando incontro a conseguenze devastanti sulla crescita economica e la sostenibilità sociale.

Dare più peso ai giovani. Una spinta verso il futuro

Nel mondo in cui viviamo è sempre più indispensabile anticipare i cambiamenti e includere nelle scelte di oggi il benessere di domani. Questo significa non limitarsi a difendere le posizioni raggiunte, i diritti acquisiti, le sicurezze del passato, ma mettersi in sintonia con la realtà che cambia, con attenzione ai nuovi rischi emergenti e alle nuove opportunità da cogliere. Dove ciò non avviene, la società si arrocca in difesa di ciò che si ha timore di perdere – fronte sul quale sono maggiormente propense a schierarsi le generazioni più mature – mentre diventa più debole la capacità di generare nuovo benessere in coerenza con le trasformazioni in atto (fronte sul quale tendono più naturalmente a disporsi le nuove generazioni).

Perchè i giovani rischiano di perdere la fiducia nella nostra democrazia

Il 2020 è stato l’anno dell’emergenza causata da Covid-19. Il 2021 l’anno della protratta convivenza con il virus. Il 2022 avrebbe dovuto essere quello della ripartenza. Ma ancora una volta ci troviamo con un anno molto diverso da come auspicavamo. Speravamo di poterlo in futuro ricordare come il punto di partenza di un’Italia capace di cogliere la discontinuità della pandemia come occasione per una nuova fase di sviluppo. Per riuscirci sono necessarie risorse inedite. A questa condizione ha risposto il Piano europeo Next Generation Eu. Una condizione che rischia di risolversi in un grande spreco e in ulteriore aumento di debito pubblico se i finanziamenti non vengono indirizzati in modo efficiente per misure strutturali in grado di superare gli annosi limiti del passato e diventare leva per la crescita. Ma contestualmente è richiesto un ripensamento dello stesso concetto di crescita, in coerenza con nuove sensibilità e nuove sfide rispetto alle condizioni e alle modalità per generare benessere nei processi di sviluppo sostenibile. Il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), pur con alcune lacune e criticità, ha cercato di interpretare il momento storico del paese attraverso la definizione di priorità, strumenti e obiettivi.

Crisi demografica, la grande questione rimossa del Paese

La popolazione italiana è da pochi anni entrata in una nuova fase della sua storia, che caratterizzerà tutto il resto di questo secolo, quella del declino demografico. La curva demografica negativa pone una sfida inedita ai processi di sviluppo economico e al sistema di welfare del paese.

Se pensiamo alla fase, nel secondo dopoguerra, in cui l’Italia è maggiormente riuscita a cogliere le sfide dei tempi nuovi – espandendo opportunità e favorendo la mobilità sociale – le condizioni demografiche erano del tutto diverse a quelle attuali.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, la popolazione italiana cresceva ed aveva la struttura di una solida piramide, con molti più giovani e molti meno anziani rispetto a quella attuale (e ancor più a quella futura).

Dobbiamo, allora, oggi chiederci cosa significa generare benessere, alimentare processi di sviluppo, garantire sostenibilità sociale in un paese demograficamente in declino.

Se c’è una cosa certa del futuro è che con questa curva demografica negativa dovremmo sempre più fare i conti. Con modalità che richiedono un profondo riadattamento sia in termini di nuovi rischi che di nuove opportunità.

Questo significa anche che l’Italia non può recuperare soluzioni dal passato, ma debole è anche la possibilità di imitare altri paesi: sul fronte qualitativo per le specificità che ci caratterizzano e su quello quantitativo per la nostra maggior accentuazione dei cambiamenti demografici.

La demografia è implacabile – se non si fanno le scelte giuste per tempo – nel vincolare i margini sui quali costruire il futuro. E come lo fa? Levando mattoni dal basso dell’edificio demografico che così diventa via via sempre meno solido con il passare del tempo. La trascuratezza con cui abbiamo finora gestito queste dinamiche pone oggi il nostro Paese di fronte alla prospettiva di una drastica riduzione della popolazione attiva. La denatalità italiana ha, infatti, prima ridotto la popolazione infantile, poi quella giovanile ed ora sta andando ad erodere sempre più anche le età adulte (anche tenendo conto dei flussi migratori, senza i quali la riduzione sarebbe ancor più rilevante).

L’indicatore che misura il rapporto tra anziani e popolazione in età attiva è tra quelli guardati con più attenzione e preoccupazioni nelle economie mature avanzate. Fino agli anni più recenti ad alimentare la crescita dell’indice di dipendenza degli anziani è stato soprattutto l’aumento del numeratore (le persone di 65 anni e oltre), ma nei prossimi anni e decenni alla sua spinta verso l’alto contribuirà sempre più la diminuzione del denominatore (la popolazione in età da lavoro, ovvero la componente della popolazione che maggiormente contribuisce alla crescita economica, finanzia e fa funzionare il sistema di welfare).

Il contributo di tutte le generazioni è importante, ma è dal basso che una società si rinnova e mette solide basi per il proprio futuro. Il paese in Europa con la più bassa percentuale di giovani, non può più permettersi di avere anche alti livelli di Neet, di working poor, di overeducation.

Formazione e qualità del lavoro delle nuove generazioni devono essere messe al centro di una nuova fase di sviluppo del paese dopo la discontinuità della pandemia. E’ la risposta principale al debito pubblico, ai crescenti squilibri demografici, alle sfide poste dalla transizione verde e digitale.

Lo sviluppo solido e sostenuto dei primi decenni del secondo dopoguerra ha tratto la sua principale spinta da nuove generazioni che costituivano una risorsa consistente, ma soprattutto dinamica e vivace e intraprendente, nel contesto di un clima di fiducia e di aspettative positive crescenti verso il futuro.

L’insegnamento che ne deriva per oggi non è solo che condizione delle nuove generazioni e sviluppo economico sono legati ma anche che per superare le fasi di difficoltà e di rilancio dopo una discontinuità serve un progetto-paese in cui i giovani possano riconoscersi e intravedere una propria parte attiva.

Diventa allora necessario un cambiamento di strategia: non costringere i giovani ad adattarsi al ribasso a quello che finora il sistema paese è stato in grado di offrire, ma consentire all’economia di crescere e generare benessere, in coerenza con la vocazione dei territori, facendo leva sul meglio di quanto le nuove generazioni possono dare (quando preparate e incoraggiate adeguatamente).