Posts By: Alessandro Rosina

Il Capitale Civico da non sprecare

Se c’è una costante che attraversa tutte le generazioni e che non è certo diminuita nei giovani di oggi, è il desiderio di contare, di poter fare la differenza, di sentirsi parte attiva di un mondo che cambia e migliora con le loro idee e la loro azione. A cambiare è la realtà con cui si confrontano, le sfide del proprio tempo, le condizioni in cui si trovano, le modalità di partecipazione.

I futuri genitori preferiscono davvero avere figlie femmine?

Lo rivelano i dati sulle cosiddette “ragazze mancanti” (il numero di aborti in base al sesso), passati da 806 mila nel 2000 a 107 mila nel 2025, pubblicati di recente dal Times. E i sondaggi sui genitori europei.

Nelle società patriarcali del passato, un figlio maschio era essenziale per motivi economici e simbolici. Garantiva braccia per il lavoro nei campi o nelle botteghe artigiane, assicurava la continuità del nome della famiglia e forniva sostegno materiale ai genitori in vecchiaia. Il mestiere si trasmetteva di padre in figlio, così come la casa e i beni. Anche le casate nobiliari avevano bisogno di un erede maschio per tramandare titoli e patrimoni. Quel mondo non esiste più.

Il diritto alla pensione non dipende dall’avere figli, mentre è cresciuto il costo del loro mantenimento. L’equiparazione dei diritti ha posto fine anche al monopolio del cognome paterno: in Italia, come in molti altri Paesi, i nuovi nati possono ricevere entrambi i cognomi dei genitori o di uno dei due. Il vantaggio di avere un figlio maschio è quindi svanito e sembra farsi strada una preferenza verso le figlie femmine. Molti genitori le considerano più facili da crescere, perché in media vanno meglio a scuola, sono più collaborative e responsabili, anche se non sempre è così. Tendono, inoltre, a lasciare prima la famiglia di origine, ma mantengono legami più intensi con i genitori, offrendo maggiore sostegno emotivo e un contributo più rilevante nella cura di madri e padri anziani.

Verso una società della longevità inclusiva e sostenibile

A fronte di molti indicatori di sviluppo e benessere che ci vedono nelle posizioni più scomode in Europa, ce n’è almeno uno che si distingue in positivo, è l’aspettativa di vita. Eppure sembriamo far di tutto per renderlo un aspetto negativo. Che gli italiani siano uno dei popoli più longevi è certificato dai più recenti dati Eurostat. La durata media di vita è salita a 81,7 anni secondo i dati preliminari del 2024, con un guadagno di o,3 anni rispetto al 2023. L’impatto della pandemia di Covid-19 è stato completamente superato e le dinamiche degli ultimi anni sono tornate in linea con quelle pre-crisi. Ancor meglio fa l’Italia, la quale si colloca sopra gli 84 anni. Le previsioni Istat in tutti gli scenari considerati contempla un proseguimento del miglioramento. La questione centrale è però la qualità.

UNA SFIDA CRUCIALE PER L’ITALIA. OFFRIRE AI GIOVANI VISIONI E SPAZI PER IL LORO

Nel tempo frammentato e accelerato in cui siamo immersi, ai giovani viene chiesto di costruire il proprio futuro in uno scenario con coordinate incerte e condizioni deboli. I dati dell’ultima edizione del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo (Il Mulino editore, 2025) confermano con chiarezza che l’inclusione e la valorizzazione delle nuove generazioni dipendono sempre più da tre dimensioni fondamentali: la qualità dell’esperienza scolastica, il senso attribuito al lavoro e la possibilità concreta di incidere sul mondo attraverso la partecipazione politica e sociale.
La scuola non offre solo strumenti per accumulare conoscenze e competenze, ma è uno spazio fondamentali in cui le nuove generazioni imparano a vedersi come soggetti attivi nel mondo. Tuttavia, i dati ci mettono di fronte a una realtà preoccupante: una parte rilevante non riconosce nella scuola un ambiente che valorizza il proprio potenziale. A pensarlo sono in particolare coloro che vivono in condizioni sociali più svantaggiate, per i quali il rischio di abbandono scolastico rimane elevato e le opportunità percepite risultano ridotte.
L’esperienza scolastica, invece, dovrebbe rappresentare un contesto capace di riconoscere le specificità personali e offrire strumenti per orientarsi, esprimersi, emanciparsi. Eppure, meno di uno studente su tre percepisce che la scuola riesca davvero a valorizzare talenti e capacità individuali. Ancora più critica appare la valutazione da parte dei figli di immigrati e degli studenti più fragili, che lamentano una scarsa inclusività e un’inefficace promozione delle competenze interculturali.
La scuola è tanto più efficace quanto più è capace di costruire alleanza educativa, senso di appartenenza e fiducia nel cambiamento possibile. Non bastano strumenti compensativi per chi parte in svantaggio: serve una rigenerazione del senso stesso della scuola come spazio generativo, dove sentirsi a casa, riconosciuti e in grado di migliorare se stessi e il mondo.
Anche il lavoro, come la scuola, deve poter essere vissuto come esperienza trasformativa. I giovani non lo considerano più solo una necessità, ma un elemento fondamentale per la propria identità e il proprio benessere. Chiedono che sia coerente con le proprie passioni e aspettative, oltre a chiedere che sia dignitoso, stabile e adeguatamente retribuito. Desiderano spazi in cui poter contribuire attivamente, crescere e sentirsi parte di un progetto collettivo.
Non è quindi il lavoro in sé a perdere attrattiva, ma la sua riduzione a vincolo e sacrificio, privo di prospettiva. Il “ben-essere” non può più essere separato dal “ben-lavorare”. In questa visione, le organizzazioni hanno un ruolo cruciale: saper valorizzare le nuove generazioni non solo per le competenze tecniche, ma anche per la loro energia innovativa, la sensibilità per i temi ambientali e sociali, la capacità di adattamento e visione. La costruzione di un nuovo patto generazionale sul lavoro passa da qui.
Infine, se la politica fatica a coinvolgere i giovani, non è per disinteresse. Il Rapporto Giovani 2025 conferma che la distanza cresce quando la politica appare autoreferenziale e incapace di affrontare le questioni concrete della vita quotidiana. Tuttavia, l’interesse per il bene comune non è venuto meno: lo si ritrova nei temi ambientali, nei diritti civili, nell’uguaglianza di genere, nella sostenibilità e nella giustizia sociale.
I giovani chiedono coerenza, inclusività e nuovi spazi di espressione. La grande maggioranza degli intervistati crede ancora nella possibilità di migliorare il Paese, e si dice pronta a partecipare se vengono offerte occasioni autentiche di coinvolgimento. È un potenziale che va riconosciuto e coltivato. A livello locale, dove l’impatto delle decisioni è più visibile, la fiducia è maggiore: segno che la prossimità può fare la differenza.
Lo stesso voto non è messo in discussione in sé, ma diventa significativo solo se accompagnato da un’offerta politica percepita come rilevante. Il legame tra scelte elettorali e capitale socio-culturale è netto: i più istruiti e integrati sono più propensi a riconoscere valore al voto. I più fragili, invece, rischiano di disinvestire anche da questo strumento di partecipazione, alimentando un circolo vizioso di esclusione e disillusione.
L’Italia si trova di fronte a una sfida cruciale: offrire alle nuove generazioni non solo retoriche sull’importanza dei giovani, ma strumenti, spazi e visioni che rendano credibile e praticabile il loro protagonismo. I dati indicano con chiarezza che scuola, lavoro e partecipazione politica devono diventare pilastri di una strategia integrata per la coesione intergenerazionale.
Oggi sistema paese, istituzioni e organizzazioni si mostrano spesso spiazzate rispetto ai giovani sia perché fanno fatica a trovarli perché in diminuzione demografica, sia perché quando li trovano non capiscono come “adattarli a loro esigenze”. Il fatto è che i giovani, qualsiasi sia il contesto, non si sentono al loro posto se non percepiscono che quel posto può cambiare con loro.
L’elemento di speranza più forte è la vitalità delle aspirazioni giovanili: i membri delle nuove generazioni desiderano luoghi a cui dare senso attraverso il valore del proprio essere e fare, relazioni fondate sul rispetto, una società più giusta. E, soprattutto, non hanno rinunciato a credere che il cambiamento sia possibile. La speranza che portano con sé – non passiva, ma attiva – è una risorsa generativa che può rinnovare la società, se sostenuta e accompagnata in modo autentico.