11 miliardi sul pianeta e l’incerto destino dell’Africa

Molti osservatori non esperti si sono quindi chiesti fino a che punto possiamo fidarci delle previsioni.

L’arte di prevedere il futuro
Alcune considerazioni possono essere d’aiuto. La prima è che per definizione le previsioni sono sbagliate. Nessuno conosce il futuro. Rimane però vero che ammontare e struttura della popolazione non cambiano repentinamente, fatti salvi eventi catastrofici. C’è quindi un fattore inerziale che aiuta a costruire scenari affidabili nel breve e medio periodo, ma nel lungo termine l’incertezza rimane alta. Tanto per fare un esempio, possiamo facilmente prevedere la popolazione italiana nel 2014, dato che sarà composta soprattutto da persone già presenti oggi, ma molto più complicato è sapere quanti e come saremo nel 2114.  L’unico modo per difenderci da questa incertezza è aggiornare continuamente le previsioni tenendo conto dei cambiamenti in corso.
Una seconda considerazione riguarda il fatto che le variazioni maggiori coinvolgono un insieme limitato di paesi, in particolare quelli con fecondità molto elevata. Sono in tutto 31, di cui 29 in Africa. Difficile allo stato attuale capire quando e con che rapidità si realizzerà anche per essi la transizione riproduttiva.

I giovani senza lavoro e il futuro che si meritano

Le promesse e i fatti

Insomma, dai politici non sono mancate le promesse di miglioramento della condizione delle nuove generazioni. A mancare continuano però ad essere i fatti, a giudicare dalla persistente difficoltà dei giovani sia nel trovare e creare lavoro, che, conseguentemente, nell’avviare un proprio progetto di vita autonoma.

Mentre nel resto d’Europa a lavorare è la gran parte di chi ha tra i 18 e i 29 anni, da noi è solo una minoranza a farlo: il tasso di occupazione era il 48% nel 2005 ed è sceso nel 2012 sotto il 40%. Anche il tasso maschile si è inabissato sotto la soglia del 50% e si trova attualmente vicino al 45% (al 33% quello femminile). Oltre 10 punti sotto la media europea.

Si accentua quindi ulteriormente il paradosso di un’Italia che non solo ha meno giovani rispetto agli altri paesi avanzati, ma li rende anche meno attivi e partecipativi nella società e nel mercato del lavoro (di conseguenza più passivamente dipendenti economicamente dai genitori).

Sul significato dell’essere giovani e disoccupati in Italia

Che i giovani siano sempre di meno lo abbiamo detto e documentato molte volte in questo sito, ragionando anche su cause e implicazioni (si veda anche l’ebook per un italia che riparta dai giovani: analisi e politiche. E una conversazione con Fabrizio Saccomanni ).Datagiovani è tornata in questi giorni sull’argomento confermando quanto ampiamente noto, ma con aggiornamenti sempre utili, ottenuti rielaborando i più recenti dati Eurostat. I dati su questo tema fanno, del resto, sempre effetto. La fascia 15-24 conta attualmente circa 6 milioni di persone, rispetto agli 8,9 milioni ad inizio anni Novanta. In termini relativi è scesa da oltre il 15 a circa il 10%. Venendo ai dati sull’occupazione, riferiti al 2011, il 73% dei giovani è fuori dal mercato del lavoro (4,4 milioni), mentre il dato europeo è del 57% (con l’Olanda è al 31% e la Germania al 48%). Gli occupati sono 1,2 milioni (19%) e quelli in cerca di lavoro poco  meno di 500 mila. Tanti o pochi questi ultimi? Quasi il 30% sulla forza lavoro, circa 8% su tutti i giovani.

Città protagoniste

Nella storia della civiltà umana si possono identificare quattro momenti chiave in cui le città hanno un ruolo di protagoniste: il Neolitico, la rivoluzione dei Comuni, la rivoluzione industriale e la rivoluzione digitale. In passato, ciascuno di questi passaggi rivoluzionari ha modificato in modo radicale sia le città sia il nostro modo di vivere, e lo stesso potrebbe avvenire oggi con la rivoluzione digitale, che mira a far diventare «intelligenti» le città in un mondo in cui la popolazione urbana è diventata la maggioranza. Le città sono da sempre al centro del cambiamento. Le maggiori discontinui­tà e rivoluzioni nella storia dell’uomo hanno di fatto sempre avuto le città come protagoniste. Possiamo vederlo attraverso quattro momenti chiave delle trasformazioni che hanno cambiato il nostro modo di vivere: il Neolitico, la rivoluzione comunal-cittadina che pone le premesse del Rinascimento, la rivoluzione industriale, per finire con la rivoluzione digitale in corso.

Degiovanimento

I giovani sono sempre stati un bene molto diffuso nelle società del passato. La struttura tipica della popolazione è fatta a piramide. La base corrisponde alle fasce d’età più giovani, da sempre la componente demografica più consistente, mentre la punta rappresenta le fasce più anziane, numericamente molto più esigue. Questo è stato vero per tutta la storia dell’umanità fino a qualche decennio fa. Stiamo oggi vivendo una fase di passaggio che sta alterando profondamente i tradizionali e consolidati equilibri demografici tra nuove e vecchie generazioni. I motivi di tale cambiamento sono due.